Nell’atelier di Kiefer si impara a volare alto

Nell'atelier di Kiefer si impara a volare alto

Poco meno di quattrocento pagine, e il desiderio che non finiscano mai. Vincenzo Trione ha scritto un libro su Anselm Kiefer indefinibile e bellissimo. Prologo celeste. Nell’atelier di Anselm Kiefer (Einaudi, pp. 376, euro 36) ha l’apparenza rigorosa del saggio e la struttura tripartita del romanzo, con qualche concessione all’epica nei titoli di capitoli e sottocapitoli e al memoir nel tono della narrazione. Per le mani abbiamo un interessante ibrido letterario, impreziosito da una settantina di fotografie (molte delle quali scattate dallo stesso Kiefer) che, da sole, formerebbero un volume a parte perché ci conducono negli spazi intimi della creazione kieferiana, e questo sì è un vero privilegio. Quello di Trione, docente alla Iulm di Milano, direttore dell’Enciclopedia Treccani dell’Arte Contemporanea e firma del Corriere della Sera, è un volume dedicato probabilmente al più grande artista vivente, di certo all’unico degli artistar in circolazione a snobbare il gran circo delle fiere, a dribblare l’artivisimo pink & green tanto utile al mercato e al posizionamento sociale, a decidere sempre in prima persona le mostre che lo riguardano, pianificandole nel dettaglio e modificandole fino all’ultimo giorno. A proposito: se anche voi siete Kiefer-fan segnatevi che dal prossimo 22 marzo Palazzo Strozzi di Firenze ospiterà una sua personale che si preannuncia come la mostra più attesa della stagione, con un titolo che è già tutto un programma, Angeli caduti, e che presenterà sia lavori del passato che nuove produzioni.

Allergico ai media, quasi «indifferente al mondo», Kiefer sembra commenta Vincenzo Trione – «un artista nato per sbaglio nel Ventesimo secolo»: sessantotto anni e una quantità non calcolabile di mostre, riconoscimenti e opere-icona in tutto il mondo (una l’abbiamo anche noi in Italia: sono I Sette Palazzi Celesti, permanentemente esposti al Pirelli Hangar Bicocca di Milano), Kiefer è sentimentalmente vivace e artisticamente poliedrico. Alchimista nel nostro tempo, è un demiurgo perfetto nella combinazione di scultura, architettura, pittura, letteratura, scienza. «Ho duemila anni», dice spesso di sé, scherzando, ma forse non troppo, consapevole di essere artista ad altissima densità. Eppure, a tutti comprensibile, quasi ipnotico. «Anselm Kiefer piace al grande pubblico perché le sue opere generano sacro timore e sono sublimi. Arrivano al cuore come sa fare tutta la grande arte spiega Trione -. Kiefer rappresenta la risposta antitetica al concettualismo e al minimalismo imperante, è il no secco a tutti coloro che generano arte solo per alimentare distrazioni». Kiefer invece pensa in grande e agisce di conseguenza: è epico, strabordante. Per comprenderlo meglio, Trione ha deciso di visitare le fucine della sua creazione: Barjac e Croissy, entrambe in Francia, la prima in Occitania, la seconda nell’ Île-de-France. A Barjac Kiefer è venuto nei primi anni Novanta, ha acquistato immobili dismessi, li ha trasformati in atelier-studio adatti a contenere le sue sculture di grandi dimensioni e poi ha creato un immenso museo a cielo aperto, una cittadella dell’arte, oggi Fondazione, dove si vive in un tempo sospeso. Trione vi è tornato due volte, la scorsa estate, e poi si è recato a Croissy, l’altro atelier costruito «sul modello del mio cervello» (dice Kiefer) dove ci si perde nella sconfinata biblioteca e negli spazi riservati agli archivi (attenzione: non esiste alcun catalogo generale, «per Kiefer sarebbe come mettere il punto finale», spiega Trione). Croissy è il luogo d’elezione dell’artista dalla fine degli anni Duemila: Kiefer qui ci abita, vi lavora e a volte la sede è aperta, almeno parzialmente, ai visitatori di passaggio. Durante il suo soggiorno, Vincenzo Trione ha incontrato Anselm Kiefer varie volte e ne ha ricostruito la routine creativa: tutti i giorni l’artista legge (è gran divoratore di miti, non solo occidentali, e di testi di filosofia), si lascia ispirare da un brano «e poi entra in trance, comincia a dipingere e non deve essere interrotto per nessun motivo». Infaticabile, se si considerano le ampie dimensioni delle sue creazioni, opera su tre o quattro lavori in contemporanea. La sensazione, per chi lo osserva nel silenzio di questi luoghi che sono molto più di un atelier e rappresentano una opera d’arte totale, è che Kiefer sappia far risuonare come nessun altro la filosofia, la mistica, la letteratura e la scienza: i suoi lavori sono il risultato di un dialogo serrato con i giganti del pensiero. Capace come pochi altri di plasmare le grandezze e le fragilità di questo nostro tempo confuso, Anselm Kiefer è la dimostrazione questa la conclusione che ci piace cogliere del volume di Trione – che è ancora possibile fare grande arte.

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