Tortura portata alle estreme conseguenze, cioè alla morte. Una morte voluta, per di più, sin da quando quella sera ha iniziato a picchiare il suo bambino di due anni e cinque mesi solo perché piangeva e si lamentava. Dopo un processo tortuoso, fatto di sentenze che si sono rimpallate tra Cassazione e corte d’Assise d’Appello, è stato condannato oggi all’ergastolo Alija Hrustic, il 31enne di origine croata accusato di avere ucciso il figlioletto, nel maggio 2019 a Milano.
L’imputato è stato anche riconosciuto colpevole di maltrattamenti nei confronti del figlio. I giudici hanno così accolto la richiesta della sostituta pg Paola Pirotta, che aveva chiesto appunto di riconoscere all’imputato la responsabilità del 613 bis del codice penale all’ultimo comma e che condanna quindi al carcere a vita chi, non solo ha torturato, ma ha anche cagionato “volontariamente la morte”.
Alcuni mesi fa la Suprema Corte aveva annullato la sentenza di secondo grado, che aveva fatto molto discutere. I giudici della prima sezione della corte d’Assise d’Appello (presidente Ivana Caputo e giudice a latere Franca Anelli), infatti, avevano riqualificato l’omicidio volontario deciso in primo grado (e che aveva avuto come conseguenza l’ergastolo) in morte come conseguenza dei maltrattamenti (ovvero 28 anni di carcere). Lo aveva motivato così: “Il calcio, la spinta, o qualsivoglia gesto violento abbia fatto cadere l’odierna piccola vittima, è stato l’ultimo oltraggio infertogli non diverso dalle numerose percosse che avevano lasciato le ferite repertate sul suo cadavere”. I maltrattamenti nei confronti della ormai ex moglie, all’epoca 22enne e sua connazionale, assistita dall’avvocato Patrizio Niccolò, sono caduti definitivamente.