Progettisti così non ne fan più, verrebbe da dire. Aurelio Lampredi fa parte di quella schiera di talenti partoriti dalla grande madre Italia, dei quali si è perso lo stampino. La storia dell’automobile tricolore si scontra fortunatamente con il genio del livornese, che ha servito prima la Ferrari e reso ancora più grande la Fiat, anche nella sua derivazione Abarth. L’ingegnere labronico ha concepito nella sua lunga carriera dei motori che hanno incantato per rabbia, progressione e incantevole musicalità. Tutti elementi destinati ad accendiare la passione di una nazione, un tempo devota alle quattro ruote in modo quasi religioso. Cosa resta di quei tempi? Sicuramente il ricordo di un periodo d’oro, che difficilmente si ripeterà. Nel frattempo, omaggiamo un uomo determinante per l’industria italica delle quatto ruote.
Gli inizi di Lampredi
Aurelio Lampredi nasce a Livorno il 16 giugno del 1917. La cittadina bagnata dal mar Tirreno è terra dura e molto orgogliosa, che spesso ha dato natali a personaggi di caratura elevatissima, come Giotto Bizzarrini, un’altra figura cardine per l’automotive nostrano. Tornando a Lampredi, il suo estro e la sua attitudine spingerebbero il ragazzo a cimentarsi nella musica. Il sogno giovanile è quello di divenire direttore d’orchestra, ma il padre non è d’accordo e lo indirizza verso un altro sentiero. Col senno del poi, mai decisione fu più giusta. Aurelio si diploma all’Istituto Tecnico Superiore di Friburgo, in Svizzera, ed entra subito dopo nei Cantieri Navali di Livorno, prima di effettuare un passaggio alla Piaggio, nella vicina Pontedera, per entrare nell’ufficio progetti.
Alla sua porta, poi, bussano le Officine Meccaniche Reggiane-Caproni a Reggio Emilia. Per tutto il tempo che l’Italia resta coinvolta nella Seconda Guerra Mondiale, il livornese lavora al fianco di personalità del calibro di Edmondo Del Cupolo e Carlo Ruini. Sarà proprio quest’ultimo a segnalare a Enzo Ferrari il profilo di Lampredi, che è ormai pronto a spiccare il volo. La sua mente è come un forziere pieno di progetti che hanno bisogno soltanto di passare dalla fantasia alla realtà.
Per rendere grande il Cavallino Rampante
Nel settembre del 1946, Aurelio Lampredi firma un contratto con la Ferrari. Purtroppo, le cose non vanno nel migliore dei modi. L’ingegnere livornese deve condividere il proprio ufficio tecnico con altri due progettisti di grande spessore, quali Giuseppe Busso e Gioachino Colombo. Come spesso succede, più galli in un pollaio non conducono a niente di buono, così Lampredi è costretto dopo pochi mesi a fare un passo indietro. Per lui c’è un lido più tranquillo dove operare: la Isotta Fraschini. Dopo sette anni da quel burrascoso addio, il Drake richiama Lampredi a Maranello, perché adesso ci sono le condizioni per lavorare serenamente, dato che Busso è tornato all’Alfa Romeo e Colombo si è messo in proprio.
Il primo compito di Lampredi è di adoperarsi a un’evoluzione del motore V12. Bisogna spremere ancora di più le potenzialità di questo incantevole propulsore, che conta su una cilindrata monstre di 4,5 litri (ridotta poi a 3.0). Le sue caratteristiche tecniche sono all’avanguardia, a partire dalle canne dei cilindri avvitate nella testa. Questo garantisce di non usare guarnizioni di tenuta sulla testata, all’epoca considerate troppo lacunose e fragili, e al contempo di innalzare sensibilmente il rapporto di compressione.
Alla prova del campo, o per meglio dire della pista, i risultati si vedono subito. La Ferrari Tipo 375 F1 di José Froilán González vince in modo netto a Silverstone. Quello è il primo acuto, ma la vera gloria sarebbe giunta con lo sviluppo della Tipo 500 F2 che permette alla Scuderia Ferrari di mettere in bacheca ben due titoli iridati con la leggenda Alberto Ascari, nel 1952 e nel 1953. Sembra il preludio a una storia epica, invece nel 1955 si compie la scissione tra Ferrari e Lampredi dopo un incidente al banco di prova, nelle fasi di gestazione di un futuristico motore a due cilindri. La leggenda dice che quel motore prese letteralmente il volo una volta acceso.
Il matrimonio con la Fiat
Ad accogliere a braccia aperte Aurelio Lampredi e il suo bagaglio di genialità ci pensa la Fiat. Siamo nel 1956 e il progettista toscano deve cimentarsi per la prima volta con la creazione di motori destinati a una produzione di massa, quindi alla diffusione su larga scala. Ciò che Lampredi sviluppa a Torino è un assoluto capolavoro: il motore 4 cilindri concepito dal toscano si fa notare per elasticità, brillantezza e versatilità d’uso. Nel corso dei decenni, infatti, verrà declinato sulle più svariate vetture del Gruppo Fiat. In pratica, questo propulsore carismatico si contraddistingue per la distribuzione a due alberi a camme in testa azionati da una cinghia dentata in gomma con anima d’acciaio. Per tutti, questa gemma tutta italiana diventa il “bialbero Lampredi” che verrà poggiato sotto ai cofani di infiniti modelli Fiat e Lancia fino all’anno 2000.
Il bialbero non fu l’unico motore che Lampredi progettò a Mirafiori, infatti bisogna annoverare anche il V6 adoperato dalla grande ammiraglia 130 e il monoalbero a camme in testa della 128, che per oltre trent’anni ha girato sulle strade del mondo intero. Infine, mise a punto anche il motore 1050cc di derivazione brasiliana, della Fiat di Belo Horizonte, che trovò spazio anche nella produzione europea.
I successi internazionali e l’addio
All’apice del successo, Aurelio Lampredi diventa amministratore di Abarth nel 1973, raccogliendo enormi successi in ambito sportivo, con i trionfi della 124 Abarth Rally e i titoli mondiali della gloriosa 131 Abarth. Entrambe le vetture si impongono sulla scena internazionale adottando il motore da egli stesso progettato. Lampredi rimane in carica fino al 1982, anno della sua pensione. Il passo seguente lo vede ritornare a Livorno, la sua città natale, dove trascorre gli ultimi anni della vita. Muore il primo giugno del 1989, a settantuno anni.