Patriarcato, maschilismo, sessismo. Quando si tratta di impartire lezioni moralistiche la sinistra risponde sempre “presente” all’appello; ma, naturalmente, la doppia morale non abbandona mai lo spirito di chi fa parte attualmente all’opposizione. Succede quindi che, dopo settimane in cui si è chiesto di porre una particolare attenzione ai termini da utilizzare nei confronti delle donne, ecco che arriva un esponente politico pronunciare un epiteto non esattamente lusinghiero contro Giorgia Meloni. E menomale che la morte di Giulia Cecchettin e tutte le discussioni che sono state generale dai discorsi della sorella e del padre della ragazza uccisa a coltellate da Filippo Turetta avrebbero dovuto ispirare maggiore sobrietà e morigeratezza soprattutto da parte di chi ricopre importanti ruoli istituzionali.
E invece che cosa succede? A una settimana di distanza da funerali di Giulia – che hanno suscitato un moto di cordoglio collettivo anche in ottica di un nuovo linguaggio da usare verso le donne – arriva un becero insulto da parte di Ettore Licheri, senatore del Movimento Cinque Stelle. Non che ci sia molto da sorprendere che certi “simpatici” termini vengano adoperati dai grillini, visto che il loro fondatore ha costruito il suo successo politico dai “Vaffa”. Fatto sta che l’ex capogruppo dei pentastellati al Senato ha voluto dimostrare tutta la propria eleganza verso la premier. Licheri stava parlando del fatto che il presidente del Consiglio sarebbe rimasta zitta davanti alle inchieste giudiziarie che stanno riguardando la ministra Santanchè, e i sottosegretari Delmastro e Sgarbi. Dichiarazione, di per sè, non vera visto che in più occasioni la leader di Fratelli d’Italia ha più volte detto specificatamente la sua ribadendo i motivi per cui i tre esponenti di governo al momento non verranno dimissionati.
Ad un certo punto si arriva al passaggio incriminato, con tanto di insulto. Il parlamentare grillino ritiene che il capo dell’esecutivo possa “più mettere la testa sotto la sabbia: sosteneva di voler difendere la famiglia tradizionale ma nei fatti ha garantito i suoi amici di partito e di maggioranza, i parenti e il suo cerchio magico“. Per poi aggiungere testualmente: “Che fine ha fatto l’underdog che non ci pensava un attimo ad azzannare il ministro di turno quasi sempre in maniera strumentale e propagandistica? Si è trasformata in un cagnolino docile al servizio di una politica che sembra non avere altro cruccio se non difendere se stessa“.
Insomma, Licheri ha voluto fare un banalissimo e volgare gioco di parole con “underdog” (che tra l’altro non c’entra niente con “cane” nella traduzione in italiano), utilizzando il classico paragone animalesco che serve per offendere gratuitamente e squallidamente una donna che riveste un incarico di altissimo prestigio. Al di là dell’opportunità di andare sul personale in maniera così becera, resta un interrogativo: se un parlamentare di centrodestra avesse definito “cagnolino” una qualunque donna di sinistra (che fosse la Schlein, Boldrini, Boschi, Appendino o altre) quanti secondi sarebbero trascorsi prima che i giornali, le televisioni e i profili social “politically correct” facessero scoppiare un finimondo che sarebbe durato – come minimo – un paio di settimane?