I finti “salvataggi” di Casarini nelle foto della Guardia libica

I finti salvataggi di Casarini: dei soldi dietro i soccorsi

Sei immagini scattate dalla Guardia costiera libica il 18 marzo 2019. Quattro ritraggono la Mar Jonio, la nave della ong italiana Mediterranea, impegnata a prendere a bordo 49 migranti «in pericolo di vita». Due, scattate poco prima, ritraggono lo scafo utilizzato dai migranti: che in pericolo non sembrano affatto, ma vengono ugualmente accolti dalla Mar Jonio per essere trasferiti nel «porto sicuro» più vicino.

Ora, a quattro anni di distanza, quelle immagini sembrano rafforzare gli interrogativi sul ruolo realmente svolto nel Mediterraneo meridionale dalla ong guidata dall’ex leader dei centri sociali veneti Luca Casarini. La ong ora è sotto inchiesta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, nell’inchiesta della Procura di Ragusa che ha fatto emergere i finanziamenti per centinaia di migliaia di euro che Mediterranea riceveva da almeno tre Arcivescovi italiani grazie agli appoggi nelle gerarchie vaticane. Al centro dell’inchiesta, un altro trasbordo di migranti: quello avvenuto l’anno dopo quando la Mar Jonio prende a bordo 27 profughi provenienti dal cargo danese Etienne Maersk. Alla ong di Casarini, la Maersk versa 125mila euro.

Il trasbordo del 18 marzo 2019 invece avviene poco al largo delle coste libiche, ed è documentato dalle immagini della Guardia costiera. Si vedono i migranti salire a bordo, e si vede il loro gommone poco prima pienamente gonfio e operativo, non sovraccarico e in normale navigazione.

Le foto scattate dalla Guardia costiera vengono pubblicate sul sito Migrant rescue watch, che accusa Mediterranea di «pianificare operazioni» di salvataggio. È lo stesso sito, gestito dal giornalista canadese Rob Gowans, che in queste ore è stato pesantemente attaccato da una dei principali sponsor politici di Casarini, l’ex deputata dem Giuditta Pini, che lo ha accusato di pubblicare foto riservate della Guardia costiera e soprattutto di essere «il sito ufficiale della mafia libica». È una accusa identica a quella lanciata contro il sito da un altro personaggio di cui in questi giorni si parla molto, don Mattia Ferrari, modenese come la Pini, cappellano di bordo della Mar Jonio e uomo di collegamento tra Casarini e le gerarchie ecclesiastiche. Due anni fa don Ferrari denunciò alla procura di Modena di essere stato «pesantemente minacciato» dal sito che «non è solo portavoce della mafia libica, ma è legato a servizi segreti deviati di diversi Paesi». Otto mesi dopo la Procura chiede la archiviazione del fascicolo, non vedendo traccia di minacce ma di una certa vocazione di don Ferrari alla visibilità mediatica e ad uscire dagli ambiti tradizionali – riservati e silenziosi – del mandato pastorale». Ma il prete modenese si oppone alla archiviazione e ottiene nuove indagini.

Ora lo scontro riparte, con al centro le indagini su Mediterranea della procura di Ragusa, rilanciate anch’esse da Migrant rescue watch. E lo schema sembra ripetersi: l’accusa di essere al servizio di una imprecisata «mafia libica», l’utilizzo di materiale più o meno riservato. Ma senza mai affrontare il tema decisivo: è vero o non è vero quanto viene riportato? Sono vere le foto dei barconi, i soldi dalla Curia, le faide con le altre ong?

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