Da “El tractor” a “El Toro”. Quando la carica di quel tango nerazzurro regala fatica e gol

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C’è una bella differenza quando si dice «El tractor» oppure «El toro». Detto in argentino ma in qualunque lingua del mondo: il trattore ara, fatica, scompagina il terreno. Il toro incorna, mette paura, è una furia, fa danni. Detto nel calcio: fa gol.

El tractor era Javier Zanetti, oggi più che mai El toro è Lautaro Martinez, l’ultimo ritrovato interista di successo. Ha un cabezon ma non è un cabezon. In effetti lo storico cabezon, alias Omar Sivori, aveva il fluido della follia e della genialità. Lautaro è rassicurante, la testolona un’arma calcistica di complemento, la scuote e poi riparte come avesse le corna ad infilare la porta: ormai è una bandiera, fascia al braccio, quinto argentino nerazzurro di sempre a portare l’insegna del capitano. Ripropone la magia di una sacralità della fascia, rassicurante nel suo interismo che snocciola in fatti e parole giorno dopo giorno. Racconta cuore e fedeltà, ripropone l’idolo che rappresenta un mondo, quasi la fascia gli sia stata consegnata da capitan Zanetti: l’unico dopo Giacinto Facchetti a godere di una sorta di osmosi fra il cognome e la magica parola «capitan».

Zanetti era «tractor» e nelle distinzione dei nick names c’è tutta la differenza tra il portar fascia di Lautaro e quella di Javier. Lautaro è sangue caliente, Zanetti correva e correva, perforava l’aria più delle difese. Eppure entrambi sono i simboli di una squadra di successo. Lautaro ripropone una certa Inter, garantisce futuro e sicurezza. Meglio dimenticare l’intermezzo di Maurito Icardi, con le intrusioni della brillante e talvolta intrigante moglie, Wanda Nara, che ora va di moda nel balletto televisivo. Maurito ha segnato tanto (124 gol) e vinto niente. Zanetti ha record delle presenze (858) e dei titoli (16), uno in più di Esteban Cambiasso che ha contribuito a fortificare quell’Inter argentina insieme a Walter Samuel, cassaforte difensiva, e Diego Milito, indemoniato goleador.

L’Argentina è stata sempre culla degli eroi nerazzurri. Altri due capitani hanno messo firma importante: Attilio De Maria che giocò un mondiale con la nazionale patria ma lo vinse con l’Italia. E Antonio Valentin Angelillo principe dei goleador, uno degli angeli dalla faccia sporca. Senza dimenticare Passarella e Diaz, Crespo e Simeone, Veron e Palacio, l’umile Julio Cruz e il Batistuta un po’ decadente. Sono stati 49 gli argentini figli dell’Inter, oltre 700 presenze, ma non tutti hanno lasciato il seme di una storia. Lautaro ci sta riuscendo. Capitan Zanetti oggi lo guarda dalla tribuna, vicepresidente nerazzurro per felice tradizione dei capitani più amati. Lautaro forse un giorno chissà! Oggi è la bella faccia dell’Inter: uno che crede alla legge del cuore e della maglia. Era uno dei «Muchacos» cantati dal tifo argentino agli ultimi mondiali. A Milano è capitano: il suo tempo non passa invano.

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