Fabbricare sogni può essere un incubo. Si ha questa impressione leggendo molti dei libri che raccontano Hollywood, la vera culla della settima arte. Ma il bello del cinema e delle fiction, che ormai del cinema sono chiaramente le eredi forti, è che anche loro possono raccontare la loro culla. Questo racconto raramente però è senza sconti, più facilmente necessita di essere letto in filigrana per vedere che cosa nasconde sotto le pailettes del vestito lungo delle star e le feste a bordo piscina. Ad esempio la celeberrima serie disponibile su Netflix e creata da Ryan Murphy parte con l’idea di mettere il dito nella piaga di tutto ciò che di sessista e marcio c’era nella Hollywood di fine anni Quaranta.
C’è il lato scabroso, ma anche quello giocoso. Ci sono star di allora che vengono riscoperte con bei camei narrativi, come Anna May Wong, notevole talento condannato a ruoli stereotipati in quanto di origine cinese, pur essendo una grande attrice (e uno dei personaggi più malinconici della serie) o i primordi dell’avventura di un timido ragazzo che viene dall’Illinois e che si chiama Roy Harold Fitzgerald… Il suo nome non vi dice niente? Beh, in seguito si farà chiamare Rock Hudson… Però alla fine la serie si concede un finale totalmente ucronico che anticipa gli Oscar politicamente corretti dei giorni nostri. Davvero una scelta pilatesca che copre con il bianchetto quella Hollywood che per realizzare i sogni si sporcava le mani.
Però, ammettiamolo, Hollywood ha sempre preferito l’happy end, anche se posticcio. Stessa cosa alla fine per un film molto amato da pubblico e critica e adesso disponibile anche sul piccolo schermo, Babylon, scritto e diretto da Damien Chazelle. In questo caso si torna all’epoca eroica del muto con una parata di star di oggi: da Brad Pitt a Margot Robbie, passando per Tobey Maguire e addirittura Flea, il bassista dei Red Hot Chili Peppers. Grande parata di immagini orgiastiche e ripresa del mito della Hollywood più libertina. Ma sotto lo sfavillio di feste e droga alla fine si respira anche una certa dose di paura. Tutta la tensione che nella pellicola si respira rispetto alle vecchie star del muto che tremano davanti al sonoro, non sembra poi così diversa dalla paura che adesso si respira per l’arrivo dell’Intelligenza Artificiale che potrebbe sovvertire tutto ciò che conosciamo della creatività. E non è un caso che a Hollywood, per immaginare il futuro e vendercelo, si sia saliti sulle barricate per porre dei limiti precisi alla tecnologia.
A breve arriverà anche un racconto decisamente più scanzonato del mondo Hollywoodiano, ovvero The Fall Guy, tutto incentrato sulle prodezze di uno stuntman e basato alla lontanissima sulla falsariga di una serie tv anni ’80: Professione pericolo. Anche gli stuntman piacciono molto all’autonarrazione Hollywoodiana, basta pensare al tarantiniano C’era una volta a… Hollywood. E anche il prossimo film di Tarantino spigolerà sulla Mecca del cinema, o meglio sul suo cascame. The Movie Critic sarà ambientato nel 1977 e racconterà le vicissitudini di un critico cinematografico di seconda fila, ma graffiante e senza pietà. Del resto la critica a Hollywood piace quando sta buona o si autodistrugge. Alla fine bisogna lodare una serie molto spiritosa e non notissima in Italia. Si intitola Barry (l’ultima stagione è di quest’anno) e racconta la storia di un killer pasticcione che va a Los Ageles per un «lavoretto» sporco e si innamora invece dell’idea di fare l’attore. In fondo sono solo crimini diversi.