Da circa un anno sono diventato editore di una storica casa editrice liberale, Liberi Libri. Abbiamo un formidabile catalogo e ripreso a pubblicare un bel numero di titoli di giovani e meno giovani esponenti del mondo liberale in giro per il mondo. Quando leggete una recensione di un «libero libro» su queste colonne sapete bene che chi scrive è in perfetto e dichiarato conflitto (…)
(…) di interesse. Da profano dell’editoria con la voglia di capire questo complicato mondo, non potevo mancare alla Fiera «Più liberi più libri» di Roma, che si tiene in questi giorni alla nuvola di Fuksas. In pieno Eur, a due passi dalla mia vecchia scuola, nel quartiere più fascista della capitale.
Ovviamente abbiamo deciso di aprire anche il nostro piccolo stand. Vorrei fare due considerazioni che forse appariranno banali ai lettori e «naive» per gli esperti, ma che da recente «uomo del settore» vorrei rendere pubbliche.
La prima riguarda il criterio. Quello che non ho trovato nella fiera. Come vengono disposti gli stand, che senso ha la loro collocazione, perché vedere il fumetto vicino all’editore classico? È una scelta voluta? Se così fosse, mi pare del tutto irrazionale. È una grande confusione, è del tutto senza logica. C’è molta gente che ha voglia di andare in queste fiere, non potremmo aiutarla con un percorso? Per quanto arbitrario, rappresenterebbe una trama che oggi sembra non esserci.
C’è un secondo aspetto che salta agli occhi. Quella che spesso a destra chiamano «egemonia culturale della sinistra». A queste manifestazioni passano migliaia di persone, curiosi, intellettuali engagé, passanti, studenti. C’è di tutto. Ma c’è poco pensiero liberale e conservatore.
Nei numerosi incontri organizzati alla Fiera solo pochi non sono «mainstream». Una professoressa di scuola, passando davanti al banchetto di Liberi Libri, ha declamato i titoli visti in esposizione con un ghigno disgustato: Contro l’empatia, Le ragioni della discriminazione, Contro l’egalitarismo, Il valore della disuguaglianza, La tirannia dell’emergenza, il Dio verde e così via. Abbiamo gli autori, abbiamo i temi, abbiamo le ragioni, ma a questi eventi non abbiamo il pubblico. C’è una responsabilità di chi li organizza certo, che mal ci sopporta. Ma ce ne è anche una nostra, che non capiamo come la presunta egemonia non si combatta nominando i vertici della cultura e dei suoi enti, ma facendosi conoscere al grande pubblico.