“Niente Patto senza l’Italia”. Parigi alza il tiro su Berlino

"Niente Patto senza l'Italia". Parigi alza il tiro su Berlino

La svolta verso una modifica più condivisa del Patto di Stabilità durante l’ultimo Ecofin è arrivata nel pieno della notte tra giovedì e venerdì. Appreso con disappunto del vertice ristretto tra Germania, Francia e Spagna, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha fatto comprendere ai partner europei che il mandato ricevuto da governo e Parlamento includeva anche l’esercizio del diritto di veto. Questa presa di posizione ha determinato un allargamento della riunione ristretta anche al titolare del Tesoro. In questo ambito si è poi indirizzato il dibattito verso un compromesso che ora dovrà essere finalizzato tra il Consiglio Ue della prossima settimana e il nuovo Ecofin straordinario da convocarsi tra il 18 e il 21 dicembre.

«Sappiamo che l’Italia deve essere a bordo affinché le cose vadano avanti», ha dichiarato ieri al Qn la ministra francese degli Affari Ue, Laurence Boone, sottolineando che «è importante che i Paesi rimangano uniti quando si tratta di affrontare le questioni economiche, l’allargamento, la protezione dei confini e la migrazione». Sul Patto di stabilità, ha aggiunto, «stiamo lavorando e siamo fiduciosi di raggiungere un accordo entro la fine dell’anno. Quello che chiediamo, e credo che su questo siamo d’accordo con l’Italia, sono regole che permettano gli investimenti, le riforme, la crescita e la sostenibilità delle finanze pubbliche, e che riconoscano le caratteristiche specifiche di ogni Paese». Si tratta della posizione che accomuna Giorgetti e il suo collega transalpino Bruno Le Maire. Riuscire a mettere nero su bianco il periodo di grazia dal 2025 al 2027 in cui la correzione del deficit/Pil richiesta ai Paesi con debito superiore al 90% del Pil sarebbe inferiore allo 0,5% è importante per il completamento dei singoli Pnrr.

Ma proprio la flessibilità, che per Italia e Francia è una «conquista», ha un carattere temporaneo. Saranno invece scolpite nella pietra le salvaguardie richieste dalla Germania: oltre alla riduzione del deficit/Pil (confermata rispetto alla vecchia versione del Patto) vengono infatti imposte una diminuzione del debito/Pil dell’1% annuo per i Paesi sopra il 90% e un «cuscinetto» per il deficit/Pil una volta terminati i piani di rientro al 3% a 4 o a 7 anni. I Paesi con debito/Pil inferiore al 90% dovrebbero riportare il deficit al 2% del Pil e quelli maggiormente indebitati all’1,5% in modo tale da non dover ricorrere ad aiuti comunitari in caso di crisi.

Insomma, si può dire che l’attuale compromesso possa andar bene all’Italia e ai suoi alleati solo transitoriamente visto che le «traiettorie tecniche» di riduzione del disavanzo e del debito andranno concordate con la Commissione Ue e incideranno pesantemente sulle politiche di bilancio interne. Basti pensare che il Def e la relativa Nota di aggiornamento hanno un orizzonte triennale, mentre i programmi comunitari dovranno essere strutturati su un quadriennio (o su sette anni in caso siano inseriti all’interno di un programma di riforme e investimenti). Bruno Le Maire e Giorgetti sperano di ottenere un «periodo di grazia» in cui la correzione del deficit/Pil si possa attestare allo 0,2%. Italia e Francia hanno disavanzi superiori al 4% del Pil e per il nostro Paese una correzione annua dello 0,5% del Pil significherebbe tagliare di circa 10 miliardi la possibilità di sbilanciarsi. Una circostanza che potrebbe mettere a rischio la conferma del taglio del cuneo fiscale e dell’accorpamento delle aliquote Irpef per i redditi bassi. Il veto comunque non è l’unica arma a disposizione di Roma che deve ancora ratificare il Mes.

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