Le sette vite di Gatti

Le sette vite di Gatti

La gente di Pavarolo sapeva di Felice Casorati, che qui si rifugiava nei giorni d’estate insieme con la moglie Daphne, alla quale dedicò uno dei suoi dipinti, «Donna di Pavarolo». Ma nei bar di quella collina antica, vicino a Torino, si parla adesso del figlio di Ludovico, che si chiama Federico e di cognome fa Gatti. Giocava al «futbol» nella squadra del paese, ‘l Pavareul, cresceva in chili e centimetri.

ll padre aveva perso il posto di lavoro, Federico, figlio unico, comprese di dover trovare denari oltre al pallone. Lo presero ai mercati, molte albe a faticare tra cassette di frutta e di verdura, ma non era sufficiente. C’era bisogno di tirare su dei muri e intonacare, malta e cazzuola, dai Fede, metti pure finestre e porte, sudore per dimore altrui.

Andò a giocare a Saluzzo, tornò sul campo di Pavarolo, poi Verbania e Busto Arsizio e cioè Pro Patria, periferie di sogni su prati coperti dalla galaverna e canicole feroci. Spuntò il Frosinone, serie B, roba seria, primi soldi veri, trasloco, finite le albe per serramenti e calcestruzzo. Incominciava un’altra storia. Sembrava fatta con il Toro, regalo per Ludovico vecchio cuore granata, invece fu Juventus, tradimento gobbo ma accettato. Il resto è cronaca, gol, milioni, maglia azzurra, gloria. A Pavarolo, il Casorati è roba vecchia, c’è da raccontare il Gatti da Rivoli, quello dei mercati e della betoniera.

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