Ci sono rituali del mondo operistico che cambiano e nelle metamorfosi rivelano lo stato delle cose. Un tempo il pubblico sapeva quando applaudire o dissentire dopo le arie o le scene più celebri e aveva diversi spazi per giudicare l’operato del direttore d’orchestra che doveva uscire con la compagnia alla fine di ogni atto. Poi quest’uso è stato sostituito dalle sortite intermedie, l’ingresso nella buca fino alla salita sul podio, durante le quali si assisteva ad autentiche corride di applausi o di rimproveri, di frasi colorite ed epiteti, di imbeccate propiziate da avversari nascosti o scatenate dall’eccesso plauditorio della claque. Sparite queste manifestazioni, sostituite da applausi civili, più o meno di cortesia, da parte di un pubblico sempre meno conoscitore della materia, sono rimaste solo le uscite finali per capire gli umori di quello che un tempo era l’implacabile e temuto loggione scaligero. Il riferimento corre al passato sette dicembre, quando i cronachisti col cronometro acceso appena cala il sipario avrebbero dovuto sapere che le uscite singole, dette «americana», richiedono come minimo dieci minuti di tempo per concludersi, dunque un gran successo è quando dopo l’«americana» tutta la compagnia viene richiamata da insistite e lunghe ovazioni. Nella recente kermesse, dopo i sonori dissensi piovuti sul tenore non era da trascurare la comparsa del direttore d’orchestra insieme alla compagnia – un tempo si diceva «in gruppo come al giro d’Italia» – mossa che lo sottraeva da un chiaro giudizio ad personam, come avevano ricevuto nell’«americana» i cantanti, e come poi è accaduto al gruppo registico, fatto entrare davanti alla compagnia, e decisamente beccato.