Personalmente l’idea che nel 2023 esista ancora il patriarcato non ci ha mai convinto.
Non c’entra nulla, o forse sì. Ma mentre in Italia il processo per l’omicidio di Laura Ziliani, la vigilessa stordita con i sedativi e soffocata due anni fa a Temù, in Valle Camonica, si è concluso con l’ergastolo per le sue due figlie e il loro complice; e quello alla «mantide della Brianza» con una condanna a 16 anni per aver circuito e narcotizzato nove uomini; in Inghilterra se ne è aperto uno – là mediaticamente rilevante – contro una ventitreenne accusata di aver travolto e ucciso di proposito il proprio ragazzo. Il motivo? I due avevano passato la serata insieme, a un party, a Hanley, contea dello Staffordshire, e lei si era arrabbiata vedendolo parlare e ballare con un’altra donna. Ai poliziotti la ragazza dichiarò: «Me lo merito, sparatemi e basta». Ed evitiamo i particolari forniti dalle telecamere di sorveglianza che mostrano lei schiacciare e salire più volte con l’auto sul corpo di lui che urla e chiede disperatamente aiuto.
Ed ecco dove volevamo arrivare. Parlare di «maschicidio», o «femminicidio», o «gaycidio», è un modo sbagliato di distinguere e magari aggravare o attenuare lo stesso, orrendo reato.
Non è un problema di «tutti gli uomini». O di «tutte le donne». Il problema, anche qui, sono le discriminazioni di genere.