Il mondo dietro di te, il film Netflix diretto da Sam Esmail di cui si parlerà molto in questa fine d’anno, è un thriller psicologico apocalittico che inchioda alla visione dal primo all’ultimo fotogramma.
L’appeal dell’opera risiede nel suo essere brillantemente misteriosa, ma soprattutto nelle inquietanti implicazioni futuribili. L’ambientazione principale in una magione da multimilionari, il cast di star e qualche virtuosismo a livello di regia (come certe inquadrature fuori asse) accentuano il fascino dell’insieme di quello che è in parte anche un disaster-movie fantapolitico.
Una coppia composta da una rampante pubblicitaria e un professore universitario (Julia Roberts e Ethan Hawke) lascia la propria abitazione di Brooklyn per trascorrere un weekend con i figli in una dimora in affitto a Long Island. In poche ore tutto inizia ad andare storto ma in un’accezione apocalittica. Per prima cosa accade che per un soffio la famigliola non venga travolta da una petroliera che si arena proprio nel suo tratto di spiaggia. Poi, una volta in casa, scompare la connessione internet, i telefoni non funzionano e, nel cuore della notte, bussano alla porta due sconosciuti. Sono un elegante uomo afroamericano (Mahershala Ali) e la figlia adolescente (Myha’la Herrold). I due spiegano di essere i proprietari della villa e di aver bisogno di alloggiarvi per un’emergenza. Nonostante le loro sembrino scuse, riescono a farsi ospitare dai villeggianti. D’un tratto la televisione mostra un avviso d’emergenza trasmesso a reti unificate.
Impossibilitate a tornare in città, le due famiglie saranno costrette a vivere insieme in mezzo al nulla mentre la civiltà sembra crollare attorno a loro.
Non è più tempo di invasioni aliene, tanto di moda un tempo; al cinema oggi si sposano distopie plausibili, in grado di appagare bassi istinti di massa come, ad esempio, quello complottista. In “Il mondo dietro di te” si allude al cyberterrorismo, sottolineando come la tecnologia sia un’enorme conquista che però ci tiene in ostaggio, avendoci resi dipendenti sia come individui che come società.
Quello del film è un mondo prossimo al collasso, anche se non è dato sapere ad opera di chi; abbiamo il punto di osservazione limitato dei protagonisti, che possono solo ipotizzare di vivere effetti di un disastro climatico, di un assetto geopolitico compromesso o altro ancora. Di sicuro la situazione estrema muta le relazioni e svela la vera natura delle persone: c’è chi si dà a soliloqui a volte retorici, chi si fa prendere dal panico, chi caldeggia il tentativo di rimanere calmi.
In linea generale affiora qua e là che valga la pena sbronzarsi, fumare o abbuffarsi di cibo spazzatura, vale a dire cercare sollievo in qualunque cosa faccia momentaneamente dimenticare l’orrore, fosse anche solo in una serie tv.
L’apocalisse made in Netflix, costata 70 milioni di dollari, dura 138 minuti in cui, da spettatori, si è condotti con maestria in un lento crescendo di paranoia. Tra discorsi ansiogeni e scene smaccatamente metaforiche, si spalancano ipotesi di scenari a dir poco luttuosi. “Il mondo dietro di te” corrisponde alla versione patinata di qualcosa che ci è cinematograficamente familiare. La percezione del senso della fine e di catastrofe imminente è la stessa di “Don’t Look Up” (film Netflix che fece molto parlare due anni fa), mentre l’effetto sinistro e profetico somiglia a quello generato da due titoli d’autore di cui questo sembra l’ibrido: “Noi” di Jordan Peele e “Bussano alla porta“ di M. Night Shyamalan.
Il film è l’adattamento dell’omonimo romanzo di Rumaan Alam e la matrice letteraria si sente, nel bene e nel male (l’incipit ad esempio è didascalico in maniera goffa). Il fatto che l’opera sia ottimamente recitata da attori Premio Oscar come Julia Roberts e Mahershala Ali, vecchie glorie come Ethan Hawke e Kevin Bacon e nuove leve come Charlie Evans è un valore aggiunto fondamentale nel regalare credibilità a una narrazione che vira verso ipotesi infernali fino a poco prima inimmaginabili.
“Il mondo dietro di te” genera un grado di angoscia direttamente proporzionale a quanto riteniate ipoteticamente verosimile ciò che è rappresentato sullo schermo. «Qualunque cosa sia riguarda tutti noi» viene detto ad un certo punto e, a livello semantico, la frase sembra far crollare la quarta parete che divide la scena dallo spettatore.
Dopo tanto lunga e lenta costruzione della tensione, preparatevi a una conclusione improvvisa, quasi uno sberleffo nel suo essere subitanea, ma che resta significativa.