Fino all’ultimo c’è stato qualcuno che ha tentato di prendersi il palco. Del resto, è il più bello del mondo… Sì, anche quest’anno ci hanno provato in molti a rubare il posto di Giuseppe Verdi, di Anna Netrebko, del maestro Chailly, di Francesco Meli, di Luca Salsi e di quel trionfo di arte, cultura, tradizione, musica, passione, creatività, dedizione e italianità che è la Prima alla Scala. E, come molte altre volte in passato, non ci sono riusciti. Ci ha provato la politica, travestita da questioni di cerimoniale, a dividere giocando sui posti, le logge, i palchi, le appartenenze, gridate a gran voce fino all’ultimo secondo; ci ha provato la piazza, inscenando proteste per battaglie quotidiane che, il 7 dicembre, a Milano, talvolta hanno l’occasione di ridiventare protagoniste. E allora bandiere palestinesi, bandiere ucraine contro Anna Netrebko… Come ha detto ieri sera Dominique Meyer, il quale, dato che è il sovrintendente del Teatro, ha potuto davvero salire su quel palco tanto ambito, per leggere un breve messaggio, «si è parlato di tutto in questi ultimi giorni, ma ora siamo felici di presentare questo Don Carlo». Un’opera «bella e difficile», con protagonisti artisti di fama internazionale: insomma, un esempio perfetto dell’eccellenza che, ogni anno, va in scena alla Scala, nonostante i tentativi di alcuni di oscurarla. Ormai anche l’Unesco ha riconosciuto che il canto lirico italiano è patrimonio culturale immateriale dell’umanità, una festa nella festa, come ha voluto sottolineare Meyer: «Da quattrocento anni, l’opera lirica è un veicolo fantastico per far conoscere e amare la lingua e la cultura italiana. Lo so bene, perché ho imparato un po’ l’italiano riproducendo frasi dei libretti d’opera e come me altri». La lirica è «un bene per tutti nel mondo», e tutti nel mondo «amano il canto italiano e l’opera italiana»: e, quindi, le polemiche e i loro portabandiera possono mettersi il cuore in pace, far tacere le loro cause (per quanto possano essere anche giuste e condivisibili) e ammirare, con le orecchie e con gli occhi, quanto avviene sul palco più prestigioso del mondo. Il presidente lombardo Fontana ha chiosato: «Alla fine vince sempre la Scala». È vero. Ha sempre vinto, su qualsiasi protesta: contro le pellicce, contro la guerra, per il reddito, per i lavoratori (incluse le maschere della Scala), contro Putin (lo scorso anno, per il Boris Godunov), per l’ambiente, contro i licenziamenti, contro l’eccidio di Avola che, esattamente 55 anni fa, portò Mario Capanna e gli studenti a lanciare uova agli spettatori. Piazza Scala e Milano sono pronte ad accogliere tutti, ma le loro voci, almeno il 7 dicembre, si disperdono nell’aria. A risuonare sono solo quelle sul palco del Teatro, e si prendono tutti gli applausi.