La doppiezza del killer è nata con Hoffmann

La doppiezza del killer è nata con Hoffmann

Il «bravo ragazzo», il «buon padre di famiglia», il «marito premuroso». Sono tutte figure sociali, tutti idealtipi che nelle cronache nere spuntano come funghi dopo la pioggia, cioè dopo i delitti. Ma non nelle vesti di vittime, al contrario, in quelle dei più crudeli fra gli assassini. E a margine delle notizie, puntuale anch’essa come i funghi avvelenati del male, ecco la citazione (l’ultimo a farla è stato un allenatore di pallavolo) del celebre racconto su «dottor Jekyll e mister Hyde». Tuttavia quell’uomo dalla doppia personalità, una buona e una cattiva, prima sognato e poi scritto da Robert Louis Stevenson, non è il primo caso letterario di tale natura. Strange Case of Dr Jekyll and Mr Hyde venne infatti pubblicato nel 1886, ben 67 anni dopo la nascita di una fra le creature più inquietanti di E.T.A. Hoffmann: l’orafo René Cardillac. La novella in cui compare, La signorina de Scudéry (ora proposta da Castelvecchi, pagg. 77, euro 13,50, traduzione e cura di Ute Weidenhiller), inserita nel 1819 nel terzo volume della raccolta I fratelli di Serapione, è peraltro considerata fra le primissime trame gialle della storia. Sebbene qui più della trama conti il motore che la aziona.

Siamo a Parigi nel 1680, ovvero in piena sindrome dell’Affaire des poisons, ovvero la catena di omicidi per avvelenamento che coinvolse realmente persino alcuni membri dell’aristocrazia. In tale quadro a tinte fosche s’inserisce una ulteriore emergenza: una setta di rapinatori di gioielli non si limita a intascare il bottino, e sopprime le sue vittime, firmandosi «Gli Invisibili». Ma alla signorina de Scudéry del titolo accade l’esatto opposto: alcuni monili le vengono inspiegabilmente donati da un uomo, come per risarcirla di un danno non subìto. La settantatreenne signorina, calco pressoché perfetto dell’esponente del Preziosismo barocco, scrittrice e animatrice di un salotto fra i più in vista del tempo e amica di madame de Maintenon, quindi ben introdotta alla corte di Luigi XIV, non se ne capacita. Chi è quel tale? E, soprattutto, perché ha agito così? Non facciamo gran danno al lettore dicendo che a tempo debito scopriremo che quel tale, una ventina di anni prima la signorina lo teneva amorevolmente sulle ginocchia, essendo figlio di una ragazza da lei adottata. Invece di sfuggita accenniamo che l’uomo, Olivier Brusson, ha molto a che fare con il serial killer in questione…

Che Hoffmann presenta così: «Piuttosto basso, dalle spalle larghe, di corporatura forte e muscolosa, Cardillac, a cinquant’anni passati, aveva ancora l’energia e l’agilità di un giovane. Di questa energia, che poteva definirsi insolita, erano prova anche la folta capigliatura crespa e rossiccia e il volto squadrato e luccicante. Se in tutta Parigi Cardillac non fosse stato conosciuto come il più onesto dei galantuomini, disinteressato, aperto, senza secondi fini, sempre pronto ad aiutare tutti, il suo particolarissimo sguardo dagli occhi piccoli, incavati, dal riflesso verdognolo, avrebbe potuto far nascere il sospetto di un personaggio segretamente perfido e maligno». Scartabellando su internet, possiamo addirittura… vederlo: è il ritratto del baritono Robert Burg come appariva alla Prima, datata 9 novembre 1926, dell’opera lirica intitolata appunto Cardillac, musicata da Paul Hindemith e il cui libretto Ferdinand Lion scrisse attingendo, pur prendendosi molte libertà, al racconto di Hoffmann.

Sì, Cardillac è un Jekyll/Hyde, ma la sua droga non è stata sintetizzata in laboratorio, non è psichedelica, bensì psichiatrica. Più che anticipare il personaggio stevensoniano, l’eccelso orafo geloso delle proprie creazioni prefigura in qualche modo il Norman Bates di Robert Bloch in Psycho, romanzo del 1959 ispirato dai crimini dello squartatore necrofilo Ed Gein (1906-1984) e che un anno dopo divenne, filtrato dal genio di Alfred Hitchcock, l’omonimo, terrificante film. Perché anche nel delirio omicida di Cardillac ha un ruolo primario la madre. La scena madre – è il caso di dirlo – relativa alla madre (e al figlio che aveva da un mese in grembo) viene raccontata da Olivier – al quale l’ha raccontata Cardillac medesimo – alla signorina de Scudéry. Dura pochi secondi e la maestria di Hoffmann la sintetizza drammaticamente, inclusi antefatto e conseguenze, in una trentina di righe.

Ma Cardillac, autore di molti delitti e di quello che probabilmente è il primo esempio di auto-analisi psichiatrica in letteratura, è anche, in fondo, un animo poetico. Poiché a cadere sotto i suoi colpi sono uomini in procinto di consegnare alle donne per le quali spasimano le sue opere, a ben disporlo nei confronti della signorina de Scudéry sono questi due versi da lei declamati di fronte alla Maintenon e al re e che lui, presenza magica e onnisciente, ha ascoltato: «Un amant qui craint les voleurs/ n’est point digne d’amour», Un amante che teme i ladri/ non è degno dell’amore. E ciò lo induce a infrangere la sua regola che recita: non lavorare per quelli di cui non vuoi la morte. La chiosa all’intera vicenda sta nella citazione di un verso del poeta parnassiano Nicolas Boileau fatta dall’avvocato Pierre Arnauld d’Andilly, al quale si è rivolta la Scudéry: «Le vrai peut quelquefois n’être pas vraisemblable», La verità qualche volta può non essere verosimile. E.T.A Hoffmann, il maestro dell’inverosimile trasformato in realtà, approva e sottoscrive.

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