Il dramma dei reduci del rave. “Molti suicidi tra i superstiti”

Raid dalla Siria: così Hamas tenta di aprire un nuovo fronte

Le immagini della mattanza compita dai terroristi di Hamas al rave party nel deserto il 7 ottobre hanno fatto il giro del mondo. Una violenza cieca e terribile con giovani uccisi, inseguiti e braccati come prede. Senza alcuna forma di pietà o umanità. 360 sono stati quelli massacrati sul posto. Decine quelli rapiti. Moltissime donne stuprate e poi uccise. Quelli che si sono salvati, chi riuscendo a fuggire, chi nascondendosi, chi fingendosi morto per evitare le raffiche, a due mesi dal raid stanno male. Al punto che alcuni di loro non hanno retto al trauma subito e si sono tolti la vita nei giorni successivi. Ad altri invece è andata meglio, grazie al supporto psicologico che stanno ricevendo. Secondo il capo della polizia israeliana Yaacov Shabtai in 18 tra uomini e donne sono tutt’ora in cura nei reparti per la salute mentale. Per cercare di riprendersi e provare a tornare a una vita normale.

Non è facile, perché quello che hanno vissuto e visto è un bagaglio pesantissimo da portare. Alcuni sono rimasti in stato vegetativo per giorni. In altri si è sviluppato un senso di colpa per essere sopravvissuti, con quella tragica domanda «perché io sì e loro no» che non esce dalla testa. «Penso che alcuni di loro non testimonieranno mai su ciò che hanno vissuto», spiega la ministra per l’empowerment femminile May Golan. A spingere perché i sopravvissuti avessero un supporto psicologico importante è stata la dottoressa Lia Naorche ha di fatto costruito una comunità in cui segue le vittime dell’assalto. «I loro corpi erano integri ma i loro occhi vuoti, non sembravano neanche vivi. Il male che hanno incontrato non si può spiegare – ha raccontato la dottoressa alla BBC – Noi cerchiamo di riportarli alla luce, di riportarli a credere in loro stessi e negli altri». Lior Gelbaum, 24 anni, (nella foto) è uno dei pochi che riesce a ricordare quanto successo quel giorno. «Abbiamo iniziato a sentire degli spari sopra le nostre teste, abbiamo iniziato a correre verso il campo aperto. Non sapevamo dove stavamo andando o cosa stava succedendo. Eravamo bloccati, due persone avevano una grande macchina e ci hanno fatti salire. Ci hanno salvato la vita».

Il disturbo da stress post-traumatico è considerato una forma di disagio mentale che si sviluppa in seguito a esperienze fortemente traumatiche. Si è iniziato a studiare a partire dalla guerra del Vietnam e dai suoi effetti devastanti sui veterani. Ma anche attacchi terroristici, guerre, bombe, incidenti aerei, terremoti, inondazioni o altri eventi portano alle stesse conseguenze. Effetti anche devastanti sulla salute mentale delle vittime. Un dramma per chi è sopravvissuto. Che va di pari passo con quello ancora peggiore di chi non c’è più. E rende ancora più terribilmente indimenticabile quel maledetto 7 ottobre.

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