Docente, ministra, “opinionista”: cosa fa adesso Rosy Bindi?

Docente, ministra, "opinionista": cosa fa adesso Rosy Bindi?

Desaparecida, ma fino a un certo punto. Per quanto Rosy Bindi non faccia più parte delle istituzioni politiche, c’è infatti allo stesso tempo da sottolineare che l’ex parlamentare del Partito Democratico non è assolutamente sparita in toto dai radar mediatici. Almeno una volta ogni due settimane la storica esponente del centrosinistra viene chiamata nel suo ruolo da opinionista per commentare i più importanti fatti dell’attualità e – inutile dirlo – ora che al governo c’è Giorgia Meloni, non vede l’ora di affacciarsi nelle interviste per giornali e televisioni per criticare (anche pesantemente) l’operato del centrodestra. Opinionista, sì, ma non solo: che cosa ha fatto la Bindi una volta uscita dalla Camera dei Deputati nel 2018?

Dall’Azione Cattolica al Partito democratico

Maria Rosaria Bindi nasce il 12 febbraio 1952 a Sinalunga, in provincia di Siena. Dopo la laurea in Scienze politiche presso l’Università Luiss di Roma, anche se inizialmente si era iscritta in Sociologia all’Università degli Studi di Trento. Diventa assistente del professor Vittorio Bachelet e, il 12 febbraio del 1980, mentre il docente e la sua assistente chiacchierano dopo una lezione all’ateneo La Sapienza, l’uomo viene raggiunto da alcuni colpi di pistola che lo uccidono all’istante: a sparare è stata Anna Laura Braghetti, esponente delle Brigate Rosse e tra i partecipanti al rapimento di Aldo Moro. Nonostante la tragica situazione vissuta, Rosy Bindi continua la sua professione e porta avanti il pensiero del suo maestro. Entra fin dalla gioventù nelle fila dell’Azione Cattolica, di cui ricopre la carica di vicepresidente nazionale dal 1984 al 1989. Si dimette da questo incarico quando viene eletta parlamentare europeo per la Democrazia Cristiana. Dopo di che, insieme a Romano Prodi e Nino Andreatta, contribuisce alla creazione dell’Ulivo e, nel 1994, entra per la prima volta a Montecitorio con l’elezione a deputata della Repubblica Italiana.

Dopo la caduta del governo Berlusconi, che aveva inaugurato la dodicesima legislatura, nel ’96 Rosy Bindi viene nominata Ministra della Sanità per il governo Prodi: nel suo discastero contribuirà alla riscrittura del Titolo V della Costituzione con la ridefinizione del rapporto tra stato e territorio proprio in ambito sanitario. Nel frattempo, partecipa alla nascita del partito della Margherita e ne diventa uno dei dirigenti. Sia nel 2001 sia nel 2006 la Bindi vede la riconferma alla Camera dei Deputati: con la nascita del Prodi 2 diventa nuovamente ministra: questa volta è responsabile delle Politiche della famiglia. A lei si deve l’istituzione della Prima conferenza nazionale sulla famiglia. Tra i fondatori del Partito Democratico, nel 2007 perde la competizione alle primarie contro Walter Veltroni, mentre nel 2009 appoggia Pier Luigi Bersani alla segreteria nazionale e viene nominata presidente. Nel 2008 è numero due della Camera e, cinque anni più tardi, diventa presidente della Commissione parlamentare antimafia. Nel 2018, dopo quasi 30 anni trascorsi ininterrottamente in Parlamento, non si ricandida alle elezioni politiche di quell’anno.

Il post-politica di Rosy Bindi

Poco male per lei, che è riuscita immediatamente a collezionare diversi altri ruoli dopo l’abbandono della politica attiva. Dal 2018 Rosy Bindi è difatti presidente onorario dell’Associazione Salute Diritto fondamentale che, fondata insieme ad esperti di politiche sanitarie, medici, epidemiologi, giuristi, si occupa della sanità pubblica. A partire dal 2020 fa anche parte del Comitato scientifico Lavialibera, rivista bimestrale diretta da don Luigi Ciotti che si occupa di approfondimenti e informazione su corruzione, ambiente e migrazioni e – infine – da giugno 2021 è docente della Pontificia Università Antonianum, dove si occupa di attività di formazione e ricerca sui temi della legalità e del contrasto alle mafie. Proprio due anni fa, in occasione del suo 70esimo compleanno, rilascia un’intervista in cui racconta di non riconoscersi più nel Pd perché non è più il partito che lei sperava: per questo non rinnoverà più la tessera.

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