Salario minimo, 11 mesi di chiacchiere

Salario minimo, 11 mesi di chiacchiere

La fine era già nota, e ieri è stato il voto della Camera dei deputati a sancirla: 153 sì per la maggioranza, 118 per le opposizioni, la legge sul salario minimo esce di scena.

Passa la delega al governo su «retribuzione dei lavoratori e contrattazione collettiva», un escamotage per aggirare e poi affossare, senza bocciarla, la proposta del centrosinistra di fissare a 9 euro la soglia legale dei compensi orari. Fine nota perché i voti per far passare la proposta non c’erano, ma gli undici mesi di campagna sul tema sono stati fin qui utili a Pd e M5s per piantare una bandierina propagandistica che trova consenso nei sondaggi, e per mettere in difficoltà il governo nel dire di no. E infatti l’aula di Montecitorio si trasforma nel palcoscenico di una bagarre ad uso televisivo: i deputati di opposizione tirano fuori i cartelli pronti alla bisogna: «Salario minimo negato, sfruttamento legalizzato». Esplode il classico coro di «Vergogna! Vergogna!», il dem Matteo Mauri guida una pattuglia dei suoi fin sui banchi del governo, circondando il sottosegretario leghista Claudio Durigon. Il grillino Marco Pellegrini, in un angolo dell’emiciclo, viene praticamente alle mani con Salvatore Deidda di Fdi, i due vengono separati a viva forza dai colleghi. Il presidente di turno Rampelli è costretto a sospendere la seduta per il caos.

Dai banchi del centrosinistra si susseguono interventi dai toni drammatici, che puntano il dito accusatorio contro un governo che «odia i poveri». Il rossoverde Fratoianni chiude la sua dichiarazione di voto girando le spalle alla presidenza, in segno di esecrazione. Elly Schlein si prende la scena, con un intervento che oscilla tra l’Inferno di Dante e il Winston Churchill post-Monaco. «Il modo ancor ci offende», tuona riferendosi a come il governo ha utilizzato il «trucco» della legge delega per «buttare la palla in tribuna», e provare a scavallare le europee senza doversi occupare di salario minimo. Poi, solenne: «Potevate scegliere tra l’insulto al Parlamento e la miseria di milioni di italiani, avete scelto l’insulto e avrete la rabbia di milioni di italiani».

Il leader 5s Giuseppe Conte, pago del numero di martedì (quando ha stracciato in aula il testo della legge) non parla alla Camera ma su Facebook: «Questa battaglia ci vedrà fermi fino a quando non vinceremo, ve lo prometto», proclama. Peccato che tra i suoi manchino 17 voti (ma nella maggioranza ne mancano una settantina). Il tono di Conte è quello da «ora delle decisioni irrevocabili», ma la maggioranza ha buon gioco a ricordargli che è stato al governo (financo da premier) per almeno quattro anni, e senza far nulla in materia.

Si distingue dalle «curve di ultrà contrapposti» Italia viva. «Il governo ha calpestato il diritto delle opposizioni di veder votata una loro proposta», dice Luigi Marattin. Ma la pdl del centrosinistra è arbitraria, aggiunge: «Si è stabilito che sotto la cifra dei 9 euro è sfruttamento. Ma sulla base di cosa? Il salario minimo non è un sussidio, è un prezzo. Che va fissato in accordo con le condizioni di mercato. Se no si rischia di creare lavoro nero e sfruttamento». Insomma, «per avere salari più alti occorre maggiore produttività», peccato che «nessuno si ponga il problema».

Leave a comment

Your email address will not be published.