Per Milano, città di Sant’Ambroeus e l’òs büüs, Scala e politica sono come il risotto e lo zafferano. Inseparabili. La Prima è politica e la politica sempre all’Opera. E il fatto che la maggior parte dei drammi rappresentati parlino del Potere e i suoi intrighi non è un dettaglio.
Lasciamo perdere l’ancien régime e il Risorgimento («Viva Verdi!»), e anche il Fascismo, quando Arturo Toscanini, già candidato del Blocco fascista alle elezioni del 1919, negli anni Venti, con piglio dissidente, viveva sul podio della Scala, inaugurando stagione dopo stagione. Partiamo pure dagli anni Cinquanta, anzi dal ’51 quando il direttore d’orchestra Victor De Sabata decise di anticipare la Prima al 7 dicembre (fino ad allora era a Santo Stefano). Da allora Capi di Stato, ministri, sindaci, governatori, premier e sovrani stranieri hanno attraversato, fra Palco e foyer, la storia del teatro.
All’inizio le personalità d’alto lignaggio politico, che stavano dentro, venivano contestate da chi stava fuori. Poi è accaduto che i politici, da dentro, polemizzassero con operai e studenti che stavano fuori. Miracoli della lirica. E misteri della Contestazione.
Il 7 dicembre 1968 il popolino del Movimento Studentesco si presentò in Piazza della Scala armato di uova e ortaggi per imbrattare le pellicce dell’alta borghesia di potere e di dané. Formidabile quel Capanna. Un’eredità che è durata ben oltre il piombo dei Settanta e i Moncler degli Ottanta. Dopo 55 anni, siamo ancora qui. Soltanto il fronte della contestazione si è spostato di qualche metro al di là del marciapiede. Ed è rimasto il folklore di un pugno di Cobas.
Nel 1984 l’altra grande protesta: quella di centinaia di operai della Magneti Marelli, appena licenziati, e militanti di estrema sinistra. Al lancio di uova, i manifestanti aggiunsero anche petardi e monetine. Gli obiettivi: il presidente della Montedison Mario Schimberni e il ministro del Lavoro Gianni De Michelis; ma anche Sandro Pertini e Bettino Craxi furono costretti a entrare dal retro. Poi c’è una bella foto di Craxi con la moglie alla Prima del 1986, e in secondo piano un giovane Silvio Berlusconi. L’anno dopo nel palco reale c’è Carlo d’Inghilterra, ma senza lady Diana, la quale preferiva i concerti rock. Questione di gusti, ma anche di politica. Per altro. Se un tempo ciò che rendeva affascinante la Prima era anche – la sua internazionalità, ultimamente l’impressione è che Milano sia diventata un po’ provinciale.
Poi, c’è da dire che la Scala ha una caratteristica. Il colore dei politici sindaco, premier, ministri può cambiare. Ma la consuetudine delle proteste, no. Non importa il partito dei contestati, basta siano politici. Da Berlusconi a Prodi a Monti, da Salvini a Renzi, tutti più o meno sonori – i loro fischi se li sono presi. Gli unici usciti in piedi, sull’attenti, davanti all’Inno e alle standing ovation, sono stati i presidenti della Repubblica. La famosa continuità tra i palchi della Scala e i salotti democratici. Giorgio Napolitano e soprattutto Sergio Mattarella qui hanno sempre fatto un figurone. Nel 2011, Prima col Don Giovanni in clima austerity, Napolitano fu calorosamente accompagnato da ovazioni dall’ingresso fino al suo affaccio dal palco. Neopremier era Mario Monti il quale, l’anno dopo, complice i suoi pesanti tagli, dovette subire la feroce protesta dei centri sociali, con poliziotti schierati in assetto antisommossa. Nel 2015 premier era Renzi, sul palco con la moglie e il sindaco Pisapia, ma quell’anno preludio degli anni fluidi – gli sguardi furono tutti per la transessuale Efe Bal.
Nel 2016 la crisi di governo svuotò il Palco reale: dopo il forfait di Mattarella, del presidente del Senato Pietro Grasso e dei vari ministri, a parte il governatore Maroni, il più alto in grado quell’anno fu Alfonso Signorini.
Ancora. La Prima del 2018, con Attilia di Verdi, è ricordata per l’estenuante applauso a Mattarella. E quella del 2021 per la richiesta a gran voce di bis, inteso come secondo mandato al Quirinale. Cosa che, di lì a un mese, accadde.
Nel 2022 si registrò un palco reale da record con una tripletta di presidenti – Mattarella, von der Leyen e Meloni ma anche uno spiacevole incidente diplomatico-culturale. Di scena era l’opera russa Boris Godunov e la comunità ucraina protestò, causa invasione, chiedendone l’annullamento. Del resto mesi prima il sindaco Sala e il sovrintendente Meyer cacciarono dalla Scala il direttore Valery Gergiev, accusato di essere filoputiniano. A conferma degli strani legami tra Scala e discriminazioni politiche.