Il lessico del Censis e l’Italia (ir)reale

Il lessico del Censis e l'Italia (ir)reale

Illustre Direttore Feltri,

il politichese lo mastico poco, ecco perché ho riscontrato alcune difficoltà nel comprendere il 57º Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, nonostante la mia lettura sia stata attenta e nonostante io non sia di sicuro un analfabeta funzionale, glielo garantisco. Potrebbe spiegarmi lei cosa diamine significa che gli italiani sono «sonnambuli», «ciechi e insipienti dinanzi ai cupi presagi», «intrappolati nel mercato dell’emotività», «ripiegati nel tempo dei desideri minori»? La società italiana nel 2023, stando al Censis, è «inabissata, affetta da sonnambulismo, precipitata in un sonno profondo del calcolo raziocinante che servirebbe per affrontare dinamiche strutturali dagli esiti funesti». Gli italiani, invece, sono «resi più fragili dal disarmo identitario e politico», «emotivamente ipertrofici», «presi da continue scosse emozionali», in preda a «fughe millenaristiche», «spasmi apocalittici», «impauriti dal clima impazzito». Qui mi fermo. Io le confesso che ogni tanto ho spasmi allo stomaco, ma non penso che siano «apocalittici», di solito li prevengo con un buon gastroprotettore.

Francesco Sala

Caro Francesco,

non credo si tratti di politichese, ma sembra che parlare complicato oggi sia fenomeno molto in voga e non mi stupisce, dunque, che coloro che hanno steso questa relazione abbiano fatto ricorso ad un lessico quasi poetico, contorto, metaforico, addirittura surrealistico. L’obiettivo è sempre lo stesso: suscitare più effetto. Il risultato, allo stesso modo, è puntualmente il medesimo: rendersi indecifrabili, completamente inaccessibili. Indicare la società italiana come affetta da sonnambulismo non vuol dire che gli abitanti della penisola soffrano di insonnia né il fatto che abbiano spasmi apocalittici significa che siano in preda al mal di stomaco o alle doglie. Immagino che lei lo abbia capito e apprezzo molto la sua ironia, tesa a mettere in ridicolo questo modo quantomeno bizzarro di commentare un’indagine. Quello che risulta emergere dallo studio è che, se prima eravamo, sempre secondo il Censis, furiosi, carichi di rabbia e di rancore che scaricavamo gli uni contro gli altri e pure contro i migranti (ripeto, stando al Censis), oggi ci saremmo rincoglioniti, insomma dormiremmo beatamente, immobili in uno stato di profonda incoscienza. Non credo sia la fotografia esatta della realtà. La paura che avevamo ieri ha semplicemente mutato indirizzo, come è naturale che avvenga: prima temevamo il virus, ad esempio, oggi il rischio di una guerra mondiale e nucleare. Del resto, è inevitabile che sorgano certi timori quando sul pianeta vengono combattuti due conflitti importanti, come quello in Ucraina, di cui ci siamo quasi scordati, e quello in Medio Oriente, il cui scenario è quello storico della striscia di Gaza. Dalla mattina alla sera non si sente parlare che di guerra, come potremmo non sviluppare talune preoccupazioni? Tuttavia, esse non sono mica castranti, la gente continua a vivere, a lavorare, a fare quello che faceva prima, a pensare alle cazzate, alle frivolezze, alle vacanze, ai ponti, ai divertimenti, senza che questi timori la condizionino tanto quanto indica il Censis. C’è una esasperazione dei toni e delle tinte. Il «mercato dell’emotività» ignoro cosa sia, in Italia ha più successo quello delle vacche, così come non conosco «i cupi presagi» davanti ai quali gli italiani sarebbero ciechi. C’è una contraddizione di fondo: o dormiamo o siamo emotivamente scossi.

Certo è che l’ultimo dibattito pubblico, che va avanti oramai da settimane e a tutte le ore del giorno e della notte, riguardante il patriarcato, in effetti, sì, ci ha fatto addormentare, oltre ad averci triturato le palle, questo va da sé.

Ormai si va avanti sulla scia di luoghi comuni a cui si deve aderire e che bisogna professare. La loro negazione comporta una specie di stigma sociale.

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