Giuristi in confusione per fermare il premierato

Giuristi in confusione per fermare il premierato

Sembrano molto conservatori i costituzionalisti ascoltati ieri in commissione Affari costituzionali del Senato nelle audizioni di questi giorni sul premierato. Ed emerge una grande contraddizione quando alcuni denunciano un indebolimento del Quirinale e poi dicono che il premier non viene in realtà rafforzato, come richiederebbe l’elezione diretta. Ci sono parecchi fans del presidenzialismo pentiti, come Giuliano Amato, che ora sostengono il cancellierato alla tedesca proposto dal Pd.

La prima preoccupazione riguarda appunto i poteri del presidente della Repubblica, la stessa espressa da Gianni Letta, che viene citato e su Palazzo Madama aleggia il monito non espresso di Sergio Mattarella.

«Condivido la finalità della riforma – dice Amato- rafforzare la figura del premier, i poteri del premier, ho fatto quel lavoro, so che la disciplina di quella figura è inadeguata a quel ruolo. Serve una figura più forte, non il primus inter pares di Zanardelli, ma l’elezione diretta del premier è una alterazione degli equilibri, incide negativamente sul capo dello Stato, sulla sua figura di garanzia unitaria». Per lui, «rimane sotto,derivato e non dotato della stessa legittimazione del premier». E aggiunge: «La Costituzione si cambia non per creare divisione, serve condivisione, come nel ’46 e ’47, si parte da presupposti diversi e si arriva ad un testo condiviso». La soluzione che indica è il modello tedesco, con il cancelliere eletto dal Parlamento e non dal popolo.

Francesco Clementi, della Sapienza di Roma, è «molto favorevole a un rafforzamento dell’esecutivo» e del premier perché nelle istituzioni europee «il nostro presidente del Consiglio è più debole degli altri e, dopo la riforma del Titolo V, il ruolo suo e del governo e il rapporto con il sistema delle autonomie è molto cresciuto». Ma per Clementi «le incoerenze del ddl», lo rendono «molto fragile» e bisogna riflettere su soglia minima, limiti ai mandati e ballottaggio. Paradossalmente, lamenta che il premier nella riforma non abbia più poteri, come vorrebbe l’elezione popolare.

Molto positivo, invece, Giovanni Guzzetta, ordinario all’Università di Roma Tor Vergata, che sottolinea il «bisogno della stabilità dei governi» e definisce il ddl «inattaccabile nel rapporto tra i mezzi e i fini che si vogliono perseguire». Per Fulco Lanchester, però, il testo «confligge con gli standard del costituzionalismo democratico, basato sull’equilibrio e la separazione dei poteri». Gaetano Azzariti fa notare che il «potere debole» oggi è quello del Parlamento. Nei giorni scorsi il costituzionalista Diego Fusaro aveva parlato del capo dello Stato diventato nanny, bambinaia del sistema politico e l’ex vicepresidente della Consulta Niccolò Zanon si chiedeva perché ci si preoccupi dell’«uomo solo al comando» e non di un mandato di 14 anni al Quirinale. A difendere in toto la riforma la giurista Annamaria Poggi. La più contraria, Maria Agostina Cabiddu, dice di non toccare la Carta e di rinnovare invece la classe politica. Chiama in causa l’eminenza grigia di Fi. «Bisognerebbe spiegare, anche a Gianni Letta, che cosa rimane delle prerogative del presidente della Repubblica una volta che ad esso siano sottratti potere di scioglimento delle Camere, di nomina del presidente del Consiglio». Poi, la frase di un film di Sergio Leone: «Quando un uomo con la pistola incontra un uomo con il fucile, quello con la pistola è un uomo morto!, ecco il Presidente della Repubblica è l’uomo con la pistola». Non è finita, nei prossimi giorni ne sentiremo altre.

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