Ex-Ilva, finisce il “teatrino” di Arcelor

Ilva, Arcelor chiude i rubinetti. Solo il governo può salvarla

A 24 ore dall’assemblea della verità per l’ex Ilva di Taranto la situazione industriale e finanziaria dell’azienda è talmente confusa che i sindacati uniti hanno evocato a gran voce la cacciata del socio privato ArcelorMittal, azionista di Acciaierie d’Italia al 62% insieme ad Invitalia (38%). La paura, condivisa, è che si conservi la stessa governance e si tenga in vita il malato prolungandone l’agonia – con una mini e assolutamente insufficiente iniezione di capitali. Ma così non sarà. Secondo le ultime indiscrezioni la governance sarà smantellata e l’azienda sarà probabilmente commissariata. La liquidazione dovrebbe essere esclusa, ma le tappe e le modalità di scioglimento di Acciaierie d’Italia non sono ancora del tutto chiare. Per l’ex Ilva sarebbe un nuovo commissariamento dopo quello del 2015. Ma per tutto l’indotto, a cui l’azienda deve almeno 350 milioni, sarebbe la garanzia di poter essere pagati regolarmente. Una via d’uscita «controllata e garantita» ma che metterebbe fine all’era Mittal e alla gestione di Lucia Morselli. Un epilogo già scritto da mesi e verso il quale, se non fosse morto nel 2014, avrebbe messo in guardia Emilio Riva, l’ex patron dell’Ilva. Il ragiunatt raccontano al Giornale ex manager dell’epoca Riva già nel 2008 aveva detto no alle avances di ArcelorMittal nel corso di un tentativo di comprarsi l’Ilva: «Non gliela venderei nemmeno per 30 miliardi», diceva in quei giorni caldi in cui a Taranto la produzione era sui 10 milioni di tonnellate.

«Il governo non ha altra scelta: deve estromettere questo gruppo industriale per inadempienza contrattuale e deve fare una richiesta di risarcimento per gli ingenti danni subìti, reinvestendoli in azienda» sottolineano le segreterie nazionale di Fim, Fiom e Uilm alla vigilia dell’assemblea mentre si oppongono anche allo stop dell’altoforno 2.

Con lo scioglimento/commissariamento di Acciaierie d’Italia si chiuderebbe quindi la convivenza con un socio privato che, nel tempo, è diventato la spina nel fianco dell’azienda portando la produzione al collasso sotto i 3 milioni di tonnellate annue e pure di bassa qualità. D’altra parte, ArcelorMittal non farà probabilmente resistenza. Da tempo si dice che volesse abbandonare la partita. Lo dimostra anche un recente studio di Gmk che mette in luce la crisi di ArcelorMittal a livello globale, ma in particolare a livello europeo. Quella che solo cinque anni fa, con il governo Conte, era stata indicata come la «migliore multinazionale» che potesse arrivare a Taranto, vive oggi una grave crisi su molti mercati, in primis in Europa dove sta cercando di uscire, con l’eccezione di quei Paesi (come la Francia) che la ricoprono di fondi statali. Secondo lo studio, l’eccesso di capacità e il deterioramento delle condizioni del mercato dell’acciaio nati con l’invasione dell’Ucraina hanno influenzato negativamente i risultati della divisione Ue nel 2021 e nel 2022. Ma Arcelor non se la passa bene nemmeno in Africa e Brasile. «L’India è il vero mercato di sbocco a cui i Mittal torneranno», dicono gli esperti. Forse, già dopo Taranto.

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