E i soldi, perché poi come al solito tutto ruota su questo, «non sono un problema», così almeno sostengono a Palazzo Chigi. «Siamo sotto i duecento milioni in cinque anni – racconta Antonio Tajani uscendo dal Consiglio dei ministri – e saranno euro ben spesi per un motivo valido, affrontare la lotta agli ingressi irregolari. Sono molti di meno ad esempio di quelli sequestrati dalla Guardia di Finanza per il cattivo uso del superbonus». E pure le ultime delicate questioni giuridiche sull’extraterritorialità, che avevano fatto sollevare qualche dubbio a Bruxelles, sono superate: i due centri in Albania saranno sottoposti alle leggi e ai regolamenti italiani. Così, dopo un paio d’ore di esame, il governo dà il via libera al protocollo Roma-Tirana sull’immigrazione. Dalla primavera 2024 il Paese delle aquile accoglierà fino a 3000 rifugiati, soccorsi dalle nostre navi militari in acque extraeuropee. Niente scafisti, niente Ong.
Adesso il protocollo, firmato un mese fa da Giorgia Meloni e Edi Rama con l’idea di allentare la pressione su Lampedusa e di fornire «un modello per tutta l’Europa», andrà al vaglio del Parlamento. Tempi lunghi? No, faremo in fretta, assicura Tajani. «Io mi auguro che non si apra un iter troppo complicato per la ratifica. C’è una maggioranza solida, ci sarà una legittima e apprendista discussione ma sono convinto che alla fine il testo verrà approvato». Un dibattito che si preannuncia comunque difficile e che all’inizio il governo voleva evitare. «Forse potevamo anche non passare per le Camere – spiega il ministro degli Esteri – ma poi abbiamo deciso di rispettare l’istituzione per poter ascoltare le idee e dare spazio alle proposte di tutti».
Il disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri è composto da 14 articoli e due allegati. Nella premessa si sottolineano gli ottimi rapporti bilaterali e il comune interesse «nella gestione dei flussi per controllare i pericoli dell’immigrazione illecita», sempre però «nell’ambito degli accordi internazionali e nella tutela dei diritti umani».
L’accordo durerà cinque anni, rinnovabile per altri cinque. Finanziati dall’Italia, verranno costruiti due centri di raccolta. Il primo, nel porto di Shengjin, sarà dedicato al pronto soccorso, alla prima accoglienza e alle procedure di vaglio, identificazione e rilevamento delle impronte. Il secondo a una trentina di chilometri, nell’area di Gjader, verrà destinato alle persone che dopo i controlli non dimostrano di possedere i requisiti per il diritto di asilo. Lì c’è una vecchia base dell’aeronautica albanese che può essere usata per i rimpatri nei Paesi d’origine.
Le due aree avranno la giurisdizione italiana e i costi saranno a nostro carico. All’Albania invece resta l’onore della sicurezza all’esterno dei centri e durante i trasferimenti. Gli hotspot non potranno raccogliere più di tremila migranti alla volta, che potranno essere trattenuti nelle strutture per un periodo «non superiore al massimo consentito dalla vigente normativa italiana». Niente Guantanamo bis insomma. Anzi, «per assicurare il diritto alla difesa, si consente l’accesso agli avvocati, ai loro ausiliari, alle organizzazioni internazionali e alle agenzie dell’Onu che prestano assistenza ai richiedenti protezione». In alternativa, è previsto un video collegamento con i legali e lo scambio di documenti attraverso pec. Videoconferenza pure con i magistrati di Roma, che dovranno pronunciarsi sui ricorsi dei migranti che non saranno accolti.