Una delle figure più controverse nella politica del Sudamerica torna di colpo d’attualità. La sentenza pubblicata nella giornata di martedì da parte della Corte Costituzionale del Perù ha infatti ordinato la scarcerazione immediata dell’ex presidente Alberto Fujimori, che stava scontando dal 2009 una condanna a 25 anni di carcere. Questa non è che l’ultima puntata di una lunga diatriba legale che ha diviso il paese per decenni, dopo che la sua prima esperienza di governo dal 28 luglio 1990 al 21 novembre 2000 aveva causato enormi sconvolgimenti sociali e politici. La sentenza della massima corte peruviana non è appellabile e quindi dovrebbe porre fine ad ogni ricorso legale per gli avversari di Fujimori, che avevano lottato con successo contro l’indulto concesso nel 2017. L’ex presidente ha 85 anni e soffre di gravi problemi di salute ma è probabile che la sua scarcerazione sarà salutata da proteste da parte dei suoi oppositori.
Un presidente controverso
A prima vista, le condizioni di salute dell’anziano esponente politico dovrebbero rendere impossibile la sua permanenza in prigione ma la memoria del suo governo, incluso il periodo di emergenza del 1992-93, quello che gli avversari hanno sempre chiamato un vero e proprio colpo di stato, è ancora in grado di dividere profondamente il paese. La Corte Costituzionale aveva già ordinato la liberazione di Fujimori nel marzo 2022, citando i suoi problemi respiratori e neurologici, tra i quali una paralisi facciale ed il fatto che sia stato ricoverato più volte, incluso un periodo nello scorso febbraio per curare il battito cardiaco irregolare. Nel giro di poche settimane, però, la Corte Interamericana dei Diritti Umani, organismo sovranazionale con sede in Costa Rica, aveva ordinato al governo peruviano di “astenersi dall’eseguire questa decisione”.
L’ex presidente era stato incarcerato nel 2009 per aver ordinato il massacro di 25 civili tra il 1991 e il 1992, quando il suo governo aveva lanciato un’offensiva contro la guerriglia comunista di Sendero Luminoso ma, negli anni la sua prigionia si era rivelata una fonte di infinite polemiche e divisioni, tanto da convincere il presidente Pedro Pablo Kuczynski a concedergli l’indulto la vigilia di Natale del 2017. La liberazione dell’ex presidente riattizzò le divisioni tra chi lo considera una specie di ‘salvatore della patria’ e chi, invece, pensa sia solo un dittatore che ha usato la mano pesante contro nemici politici. Dopo il pronunciamento della Corte Interamericana, Fujimori era tornato in prigione nell’ottobre 2018 ma i suoi sostenitori non hanno mai smesso di lottare per la sua liberazione.
Nuove polemiche in arrivo?
L’avvocato dell’ex presidente, Elio Riera, intervistato dopo la sentenza della Corte Costituzionale, ha rivelato che Fujimori, probabilmente, sarà rilasciato nella giornata di mercoledì 6 dicembre. “L’ex presidente è molto calmo e si dice speranzoso che questa sentenza sarà applicata in maniera quanto più rapida possibile”. Gli avversari politici dell’ex presidente, invece, raccontano tutta un’altra storia, gridando ad alta voce che questa decisione va contro alle organizzazioni internazionali che hanno richiesto che sia fatta giustizia per le vittime della violenza di stato. Carlos Rivera, avvocato dell’Instituto de Defensa Legal, intervistato dalla Reuters sembra auspicare un nuovo intervento della Corte Interamericana: “Questa è una violazione molto seria dello stato di diritto. Avrà sicuramente ripercussioni legali a livello internazionale”.
Interpellato dall’emittente Peru 21, l’ex presidente della Corte Costituzionale Ernesto Álvarez Miranda si è detto certo che stavolta la corte non interverrà, visto che “non ha competenze in questa materia. Quando la legislazione e la giustizia nazionale è già intervenuta, emettendo una sentenza, la corte interamericana non ha ragione di intervenire. A dire il vero sembra strano che la corte vada contro al proprio stesso regolamento per verificare che una sentenza vecchia di 25 anni venga ancora applicata. La corte interviene in maniera sussidiaria alla giustizia nazionale quando essa non sia stata in grado di difendere i diritti umani degli individui, niente di più”. Eppure, la possibilità che la corte si esprima ancora non sono così remote, tanto da spingere Álvarez ad un gesto di sfida: “Sarebbe interessante se intervenissero ancora, visto che in questo caso la corte si comporterebbe in maniera vendicativa, chiaramente politica, abbandonando la sua stessa giurisprudenza ed i suoi principi per un attacco ad hominem”. Dichiarazioni che fanno sospettare come questa vicenda sia ben lungi dall’essere davvero conclusa.