La malevolenza nei confronti di Israele da parte del New York Times di stampo «woke» è così estrema da superare anche la semplice aritmetica. Lo scorso 14 novembre c’è stata una manifestazione di un giorno pro Israele che ha riempito il National Mall di Washington, con 250-300mila partecipanti stimati dalla polizia. Sul New York Times è diventato un breve raduno di «decine di migliaia» di persone.
Per quanto riguarda l’attacco di Hamas del 7 ottobre, il Nyt ha già riferito che le politiche di Bibi Netanyahu erano in realtà pro-Hamas da sempre, e che gli avvertimenti degli osservatori lungo la recinzione sono stati ignorati perché donne, e altro ancora. Ma il quotidiano mantiene ancora Ronen Bergman come redattore per gli approfondimenti sul «cattivo Israele» (una volta scrisse che il mio compianto amico Meir Dagan, il futuro capo del Mossad, avrebbe strangolato personalmente i terroristi catturati con una presa, un fatto fisicamente impossibile per via delle corte braccia di Dagan), e lavora duro per scovare nuove notizia.
L’ultima è una falsa rappresentazione, attentamente architettata, del motivo per cui Israele è stato colto di sorpresa dall’attacco del 7 ottobre da Gaza, che muove dalla pretesa che l’esercito israeliano sia una forza in servizio attivo, come lo sono in effetti la maggior parte degli eserciti. Ma quella israeliana è una forza radicalmente diversa, che si basa sui riservisti, unica al mondo insieme agli eserciti finlandese e svizzero.
Invece di essere costituito da forze in servizio attivo 24 ore su 24 tutto l’anno, l’esercito israeliano è costituito principalmente da unità di riserva, il cui personale ha svolto tre anni di servizio militare – se uomini – o due anni – se donne – prima di tornare alla vita civile. Quando vengono mobilitati per un addestramento di aggiornamento o per combattere una guerra, i riservisti si recano nei distaccamenti sparsi per il Paese per raccogliere le loro uniformi, kit e armi, dalle pistole ai carri armati, prima di partire come unità combattenti pronte all’azione.
È così che un paese di circa 9 milioni di abitanti ha più di 635.000 tra soldati, aviatori e marinai quando sono completamente mobilitati, rispetto ai due milioni di unità di tutte le forze armate statunitensi, su una popolazione di circa 330 milioni. Un israeliano su quattordici presta servizio, un rapporto che genererebbe più di 23 milioni di americani in divisa. Creato nel 1948 – insieme a tutto il resto – per difendere il nuovo Stato, il sistema delle riserve è la chiave della sua forza militare. Oltre a consentire agli israeliani di lavorare e crescere le proprie famiglie, fare affidamento sull’avvertimento preventivo consente anche alle truppe israeliane in servizio di addestrarsi adeguatamente in esercitazioni unitarie e manovre più ampie, invece di essere vincolate a sorvegliare frontiere e controllare avamposti.
Ma c’è un grosso problema: è necessario un preavviso per mobilitare le riserve in tempo, e anche con i migliori analisti di intelligence possibili e tutti i migliori satelliti, sensori e computer, il problema non è solo difficile è impossibile.
La ragione è semplice: se analisti altamente qualificati dell’intelligence, o semplicemente l’arrivo di un piano di guerra completo venduto da un operativo intraprendente, avessero rivelato che Hamas stava pianificando l’attacco di massa del 7 ottobre, gli israeliani avrebbero ovviamente inviato forze molto più forti a guardia del perimetro di Gaza. Al posto del solitario carro armato Merkava, la cui cattura da parte di decine di combattenti di Hamas è stata mostrata ancora una volta nei telegiornali, in quella posizione ci sarebbe stata una compagnia di dieci carri armati, che avrebbero massacrato gli aggressori con il fuoco delle mitragliatrici. E invece dell’unica compagnia di fanteria meccanizzata con meno di un centinaio di soldati a controllo di una posizione cruciale, ci sarebbero stati uno o anche due battaglioni che avrebbero schiacciato gli attaccanti.
Ma poi, ovviamente, gli osservatori di Hamas avrebbero visto le truppe israeliane pronte a sconfiggerli e avrebbero annullato del tutto l’attacco.
C’è di peggio: una volta ricevuto un avvertimento e messo in atto rinforzi appropriati da costringere il nemico a rinunciare all’attacco, gli ufficiali dell’intelligence che hanno azzeccato la mossa vengono additati come isterici, mentre quelli che non hanno prestato attenzione ai segnali sono quelli che tutti ascolteranno anche la prossima volta.
È così che, quasi cinquant’anni prima dell’invasione di Hamas del 7 ottobre, l’offensiva del presidente Anwar Sadat attraverso il Canale di Suez colse gli israeliani con solo 411 soldati a presidiare la prima linea. Fortini che durante il primo giorno della guerra dello Yom Kippur dell’ottobre 1973 furono attaccati da un’ondata di 20.000 soldati egiziani, con un seguito di dieci volte superiore.
Perché gli israeliani furono colti di sorpresa il 6 ottobre 1973? Perché avevano già ricevuto dei segnali di allarme e richiamato i riservisti mesi prima, cosa che persuase gli egiziani a posticipare l’attacco.
Quando è stato intercettato un piano di guerra completo di Hamas, con ogni obiettivo che sarebbe stato effettivamente attaccato il 7 ottobre (il «rave» era un bonus dell’ultimo minuto), non ci sono stati né allarmi né mobilitazioni. Hamas da sempre fantasticava su attacchi di massa di migliaia di persone, ma poi si limitava a lanciare i suoi razzi che Israele poteva intercettare in modo affidabile.
Nel mezzo secolo trascorso tra i fallimenti dell’intelligence dell’ottobre 1973 e del 7 ottobre 2023, il sistema ha funzionato così bene che Israele ha potuto vincere le sue guerre, consentendo agli israeliani di andare avanti con la propria vita e di costruire il proprio Paese. È così che uno Stato sorto nel 1949 con un reddito pro capite molto al di sotto della media europea, ora è al 13° posto nel mondo.
Una volta ogni cinquant’anni il sistema fallisce, ma l’alternativa sarebbe molto peggiore.