Oggi il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti sarà ascoltato dalle Commissioni Bilancio della Camera e del Senato, sulla governance europea. Ovviamente il tema principale sarà la riforma del Patto di Stabilità che sarà discusso nel corso dell’Eurogruppo e dell’Ecofin che iniziano dopodomani. La risoluzione sui documenti della Commissione Ue contenenti le proposte legislative di modifica del Trattato di Maastricht sarà depositata domani e terrà conto delle posizioni espresse nel corso dell’audizione puntando a un’ampia convergenza. Il ministero dell’Economia conta di trarne indicazioni sulla posizione dell’Italia al vertice.
L’esame delle commissioni è iniziato nel corso dell’estate e l’audizione di Giorgetti sarà l’occasione per tirare le somme. «Abbiamo già predisposto una bozza di risoluzione ma vogliamo ascoltare il ministro per valutare e definire la nostra posizione», ha spiegato il presidente della commissione Bilancio del Senato, Nicola Calandrini (Fdi).
Ma che cosa scriverà il Parlamento al ministro dell’Economia e che cosa gli dirà? «Sostanzialmente la linea è già tracciata: meglio nessun accordo di un’intesa penalizzante per l’Italia», chiosa Claudio Borghi Aquilini (Lega).
Insomma, se non proprio un incoraggiamento, qualcosa che gli somiglia molto. Il governo, infatti, è «imbrigliato» dall’obbligo della diplomazia, cioè non può assumersi la responsabilità del fallimento di un negoziato dinanzi agli altri partner europei. Un forte mandato parlamentare, tuttavia, rafforza la posizione di ciascun attore in campo.
E Borghi Aquilini sintetizza bene la trappola che si potrebbe parare dinanzi al ministro Giorgetti in quel di Bruxelles. «Finora sono emerse indiscrezioni non solo sulla riduzione del debito e del deficit, ma anche sul contenimento del disavanzo entro un determinato livello», rimarca. Dunque – è il ragionamento – se al momento i Paesi «frugali» puntano a un suo contenimento, completati i piani di rientro del debito, entro una soglia molto bassa (l’ipotesi che circola è l’1,5% del Pil; ndr), «allora un compromesso intorno al 2% potrebbe sembrare una vittoria», osserva. Ma in questo caso si tratterebbe sempre di un punto percentuale di Pil in meno (circa 19 miliardi di euro) di deficit e, dunque, vi corrisponderebbe una minore capacità dei governi di adottare politiche espansive per sostenere investimenti o consumi.
Un punto sul quale Dario Damiani (Fi), tra l’altro relatore del dl Anticipi, è chiarissimo. «Sia il Parlamento che il governo si sono sempre espressi per uno scomputo dal deficit degli investimenti connessi al Pnrr come quelli per la difesa e la transizione green e digitale che rappresentano priorità politiche per la Commissione europea», ha affermato.
Con queste premesse, dunque, il potere contrattuale di Giorgetti in Europa uscirà sicuramente rafforzato, in quanto il ministro potrà sempre sostenere di star dando corso al mandato di un Parlamento sovrano di un Paese fondatore dell’Unione europea. Anche la questione di legittimità non è superflua: il Parlamento europeo che sarà chiamato a deliberare sulla proposta formulata dal Consiglio Ue è in scadenza nella prossima primavera. Dunque, tanto più forte l’intesa tra i Paesi dell’area euro, tanto più la trasposizione legislativa dell’accordo potrà considerarsi valida. In caso contrario (e non è un buon precedente), si rischierebbe di assistere a una replica della direttiva Brrd, votata a scadenza nel 2014 e dall’impatto devastante per le banche italiane.