I 10 giocatori più famosi nella storia della Nba

I 10 giocatori più famosi nella storia della Nba

Alle volte, le cose all’apparenza più semplici si rivelano le più complicate. Quando mi hanno chiesto di preparare una delle tante liste che sembrano piacere al ‘popolo della rete’, ho risposto subito di sì, senza pensarci troppo. Cosa c’è di più semplice per un appassionato di basket di elencare i più grandi giocatori della storia della lega più popolare al mondo? Inizi a buttar giù nomi e nel giro di cinque minuti ti ritrovi con un lungo elenco di campioni assoluti, ognuno dei quali ha messo momenti indimenticabili e cambiato a suo modo la storia della pallacanestro. Cosa fare per evitare di perdere completamente il lume della ragione? Buttarsi, senza pensarci troppo. Questa è la mia personalissima lista dei dieci più grandi giocatori ad aver mai messo piede su un parquet della Nba.

Un compito impossibile?

Quando si affrontano argomenti del genere, è davvero impossibile non mettere subito le mani avanti. Come fare altrimenti? Ogni amante del basket ha opinioni fortissime a riguardo dei suoi campioni preferiti e parte subito per la tangente contro chi si permetta di mettere in dubbio quelle che, almeno per lui, sono verità assolute. Alcune affermazioni, poi, sono impossibili da confutare: se vi dicessi che ‘Pistol’ Pete Maravich, se avesse avuto giusto un attimo più di cervello, avrebbe potuto diventare il più grande di sempre, come fareste a darmi ragione o torto? Cosa sarebbe successo se Drazen Petrovic non avesse deciso di tornare a casa in auto quel maledetto 7 giugno del 1993? Il basket, poi, cambia costantemente, tanto da rendere impossibile confrontare giocatori di ere diversissime.

Come si fa a stabilire se il grandissimo George Mikan, stella dei Lakers a Minneapolis, abbia avuto un impatto maggiore o minore di uno dei fondatori della pallacanestro spettacolo moderna, quel Julius Erving che ha cambiato per sempre il basket a forza di schiacciate? Entrambi erano superstar assolute ma Mikan era talmente dominante da costringere il proprietario dei Knicks a minacciare di andarsene dalla Nba pur di poter ingaggiare la stella degli Harlem Globetrotters Nat ‘Sweetwater’ Clifton, ponendo fine alla segregazione nel basket. Ecco perché, nel compilare questa lista, prenderemo in considerazione una serie di giocatori il cui impatto nello sport è stato talmente enorme da essersi guadagnati un posto nel cuore di chi ama questa meravigliosa follia chiamata basket.

10. Kobe Bryant

Già il fatto di esser riuscito a rimanere ai vertici della Nba per 20 anni sarebbe un’impresa quasi incredibile ma per capire davvero l’impatto sullo sport che ha avuto Kobe Bryant bisognerà attendere ancora qualche anno. La grandezza del Mamba va ben oltre alle statistiche, alla montagna di canestri segnati, al fatto di non aver mai abbandonato quei Lakers che l’avevano fatto arrivare ancora adolescente nella lega più competitiva al mondo. In questo caso non c’entra nemmeno la recency bias, la tendenza inevitabile a sopravvalutare i giocatori coi quali siamo cresciuti, dimenticandosi di chi li aveva preceduti. Intendiamoci, non sono tanti i campioni a poter vantare cinque anelli, partite da 81 punti, finali da 60 punti ma nessuno ha avuto l’impatto di Kobe.

Cosa lo rendeva unico ed inimitabile? Il fatto di essere un maniaco della palla a spicchi, un ossessivo compulsivo disposto a tutto pur di vincere una partita. Se è vero che per diventare davvero dominante in qualsiasi disciplina devi per forza essere un po’ strano, la determinazione ferrea nel raggiungere ogni obiettivo si fosse messo in testa è davvero unica. Quella famosa Mamba mentality la vedevi sempre, dentro e fuori dal campo, ma soprattutto quando hai sulle spalle tutto il peso del mondo. In occasioni del genere, l’unica cosa da fare fargli arrivare il pallone, sicuri che avrebbe massacrato la retina. La sua morte assurda gli ha rubato la possibilità di dimostrare che sarebbe potuto diventare altrettanto devastante anche lontano dal parquet. E questa, forse, è la vera tragedia.

9. Tim Duncan

Come raccontare in poche parole la grandezza di un giocatore tanto determinante quanto all’apparenza quasi noioso? Quando ha appeso le scarpette al chiodo dopo 19 leggendari anni giù a San Antonio, c’è voluto del tempo per rendersi davvero conto di quanto fosse unico e profondamente inimitabile Tim Duncan. L’Nba ha visto tanti grandi giocatori ma pochi altrettanto determinanti, così a lungo e in maniera così inspiegabile come The Big Fundamental. C’è chi dice che non sia stato apprezzato quanto avrebbe meritato quando vestiva la maglia degli Spurs ma, in fondo, le cose non sarebbero potute andare in maniera diversa. Come fai a valutare un giocatore in grado di dominare per 20 anni in attacco e in difesa, sempre senza mai dare l’impressione che stesse facendo qualcosa di straordinario?

Duncan era il maestro delle cose semplici, fatte in maniera tanto impeccabile da diventare quasi impossibili da bloccare. Quando si metteva in testa di non farti passare, non ce n’era per nessuno. Il suo tiro dalla media distanza era letale e riusciva in maniera naturale in un’impresa quasi impossibile: dominare in campo senza togliere ossigeno ai compagni di squadra. Il fatto che mettesse partite quasi perfette con la regolarità di un orologio svizzero veniva considerata la cosa più naturale del mondo, come il fatto che le sue squadre vincessero spesso e volentieri. Se altri hanno vinto cinque titoli, nessuno nella storia della Nba ha vinto 1.001 partite con la solita maglia. Una superstar con i piedi piantati per terra che non si è mai montato la testa? Inimitabile.

8. Wilt Chamberlain

Quando un giocatore è così devastante da diventare quasi annoiato dal suo talento cosa puoi fare a parte costruirgli attorno una leggenda talmente grande da sembrare quasi irreale? Wilt Chamberlain era talmente diverso dal resto del basket dell’epoca da diventare ben più grande dello suo sport. Era talmente immarcabile da convincersi di essere in grado di vincere le partite solo grazie al suo smisurato talento. D’altro canto, quando segni 100 punti in una singola partita, come fai a non montarti la testa? Wilt era veramente fuori dal mondo, tanto che i suoi numeri hanno davvero poco senso nel basket di oggi. Riuscite ad immaginarvi di segnare una media di 50 punti a partita per un’intera stagione?

D’accordo, all’epoca si gioca molto meno ma riuscire a mettere numeri del genere in più di 1.000 partite è roba da pazzi. Wilt, però, ha avuto la sfortuna di vivere nella stessa era di un giocatore che era imbattibile quando si trattava di vincere campionati su campionati. La cosa veramente inspiegabile è come un talento forse unico nella storia del basket come Wilt abbia vinto soli due titoli. Forse, il fatto che fosse stato ‘distratto’ dalle diecimila signorine con le quali si vantava di aver passato notti di passione ha influito non poco. Anzi, forse ce lo rende ancora più simpatico…

7. Oscar Robertson

Non sono molte le persone ancora vive che possano dire di aver visto giocare questa mitica guardia che è riuscita a cambiare per sempre il mondo del basket dentro e fuori dal campo. Per descriverlo potrebbero forse bastare alcune statistiche: nella stagione 1961-62, The Big O riuscì a chiudere con uno storico triple-double, 30,8 punti, 12,5 rimbalzi e 11,4 assist a partita. Riuscirci nonostante non avesse la prepotenza atletica di Chamberlain o Russell non è roba da tutti. Alto ‘solo’ 1,95 ha cambiato per sempre il ruolo della guardia, tanto da essere costretti ad inventarsi una nuova categoria, quella della big guard. Nell’epoca dei pivot dominanti, essere nominato per tre volte Mvp dell’All-Star Game fu un’impresa quasi irripetibile: ci sarebbe voluto un certo Kobe Bryant per battere il suo record.

Eppure Oscar Robertson avrebbe cambiato per sempre la Nba mentre stava per appendere le scarpette al chiodo, passato alla presidenza del sindacato dei giocatori. Fu proprio grazie alla sua determinazione che, nel 1976, la loro causa antitrust costrinse la lega a cambiare alcune clausole vessatorie nei contratti. I giocatori di pallacanestro smisero di essere alla mercé dei club, che potevano cederli senza il loro consenso da un giorno all’altro. Incidentalmente, nonostante fosse rimasto per anni in squadre poco competitive, chiuse come il secondo miglior marcatore di tutti i tempi e con la soddisfazione di vincere almeno un titolo, quando a Milwaukee nel 1971 arrivò un certo Lew Alcindor.

6. Earvin ‘Magic’ Johnson

Per chi, come il sottoscritto, ha iniziato a seguire il basket negli anni ‘80, parlare di Earvin Johnson è quasi impossibile. Troppe memorie, troppe partite leggendarie, troppe giocate indimenticabili da elencare. Con l’iconica maglietta giallo-viola dei Lakers, il ragazzino del Michigan che era arrivato come il playmaker più alto della storia dell’Nba sarebbe riuscito a rifare il basket a propria immagine e somiglianza. Magic avrebbe influenzato in maniera permanente come si gioca a basket, ponendo fine all’epoca dei funamboli della schiacciata. Quando scendeva sul parquet, sapevi che si sarebbe sempre inventato qualcosa di unico, passaggi impossibili, transizioni alla velocità della luce, canestri impossibili da imitare.

Nel caso di Magic, le statistiche vogliono dire poco o niente, visto che è stato grazie a lui e alla feroce rivalità con l’altro talento trascendentale dell’epoca, quello spilungone dell’Indiana con la maglietta verde, che l’Nba è diventata il fenomeno globale che abbiamo davanti agli occhi. I suoi Lakers rimasero fedeli al motto reso leggendario da Jerry Buss, quello Showtime che divenne allo stesso tempo un principio e una promessa agli spettatori del Fabulous Forum. Il fatto che, grazie a Magic, arrivarono nove finali e cinque titoli, è quasi un corollario. Il basket di oggi senza il sorriso e la spudoratezza di Magic sarebbe tutt’altra cosa.

5. Kareem Abdul-Jabbar

Cosa ha reso Lew Alcindor il giocatore forse più iconico degli ultimi 50 anni del basket? Una serie infinita di cose, molte delle quali al di fuori del parquet. In un tempo nel quale la Nba faticava spesso a trovare spazio in televisione, il centro dei Lakers divenne così famoso da potersi dedicare a comparsate in televisione o ruoli in film di successo senza pagare dazio sul campo. Dopo i primi anni a Milwaukee, imparò da Oscar Robertson diverse cose, prima tra tutte l’importanza di mettere a punto un tiro impossibile da fermare. Il suo skyhook, l’inimitabile ‘gancio cielo’ ha fatto impazzire noi ragazzini sui campetti di periferia, tanto da farci dannare l’anima pur di poter imitare quello spilungone che vedevamo in televisione.

Kareem riuscì a vincere più di ogni altro giocatore, segnando una montagna di punti che nessuno, a parte un certo talento dell’Ohio, si sarebbe mai sognato di poter scalare, senza compromettere i suoi ideali, rimanendo sempre estremamente critico nei confronti della Nba, del ‘sistema’, rifiutando le lusinghe della fama e del successo. Incidentalmente vinse per sei volte il titolo di Mvp, fu convocato 19 volte all’All-Star e, unico nella storia della lega, vinse il suo sesto titolo a 17 anni di distanza dal primo. E pensare che in campo era tutt’altro che spettacolare. Immaginate cosa sarebbe stato in grado di fare se avesse avuto voglia di farci divertire…

4. Larry Bird

Può un ragazzino nato e cresciuto in una minuscola cittadina dell’Indiana, lontana da tutto e tutti, diventare il giocatore che ha cambiato per sempre come si gioca a basket? A sentire Larry Joe Bird, non c’è niente di strano. Perché mai un hick from French Lick, un campagnolo senza arte né parte, non avrebbe potuto diventare uno dei talenti più grandi che abbiano mai preso in mano una palla da basket? Bisogna essere una persona speciale, ossessionato, dotato di una perfidia particolare, di una determinazione ferrea e della voglia di umiliare chiunque si mettesse tra lui e la vittoria.

Quando vestiva la maglia dei Celtics, c’erano ben poche cose che Larry Bird non era in grado di fare in campo. Riusciva a vedere traiettorie dove gli esseri umani normali vedevano solo mani tese, colpire il canestro da posizioni impossibili e trascinare i propri compagni anche quando tutto sembrava perso. Nonostante qualche infortunio di troppo, le cinque finali ed i tre titoli vinti a Boston sono entrati nella storia, come il fatto che sia stato nominato Mvp per tre stagioni di fila, impresa riuscita solo a due leggende assolute come Chamberlain e Russell. Per quanto mi riguarda rimane tuttora la migliore ala piccola di tutti i tempi.

3. LeBron James

In questo caso il recency bias rischia di abbacinarci tutti, visto che King James sta dettando legge nella Nba più o meno da quando debuttò a Cleveland vent’anni fa. In queste due decadi non si è fatto mancare davvero niente, da affari miliardari a puntate nello spettacolo, fino ad opinioni politiche che hanno fatto venire l’itterizia a parecchi tifosi stagionati. Sebbene siano molti gli esperti a pensare che sia circondato da sicofanti insopportabili anche i detrattori più indefessi non possono negare che in campo sia stato davvero devastante. Non ci è voluto niente per accorgersi che un tre da oltre due metri, fisicato come pochi, avrebbe avuto un impatto clamoroso sullo sport ma il ragazzo di Akron ha superato anche le più rosee aspettative. Nonostante abbia segnato tonnellate di punti, riuscendo perfino a battere lo storico record di Kareem, la cosa pazzesca è come fosse capace di assist millimetrici.

Per quanto siano impressionanti i tre titoli con tre squadre diverse o il fatto che sia stato scelto come l’Mvp della lega per quattro volte, si è capito quanto fosse speciale solo al tramonto della sua carriera. Il fatto che sia riuscito a rimanere dominante così a lungo è prova che, a parte le incursioni nello spettacolo o nel virtue signalling, ha sempre preso il basket estremamente sul serio. Riuscire a trascinare i Lakers quasi da solo a lottare per il titolo dopo 17 stagioni, a 35 anni suonati, è roba paragonabile solo al Super Bowl di Tom Brady a Tampa. Per molti, la vera consacrazione del genio di LeBron è stata la stoppata da dietro in gara 7 delle Finals del 2016, quando i suoi Cavaliers riuscirono a rimontare da 1-3 gli imbattibili Warriors di Steph Curry. Polemico, bigger than life, magari antipatico, ma di giocatori letali come lui se ne sono visti davvero pochi nell’Nba.

2. Bill Russell

Come fa ad essere così in alto nella classifica un giocatore che si è ritirato nel 1969, esponente di una pallacanestro che molti di noi hanno conosciuto solo dai racconti di chi l’ha vissuta? Come fa a non esserci. Nelle tredici stagioni passate al mitico Boston Garden, non è riuscito a vincere un titolo in solo due annate. D’accordo, la Nba all’epoca era composta da molte meno squadre, ma il talento di Bill Russell per trascinare le sue squadre alla vittoria non è meno impressionante. Volete una prova di quanto fosse straordinario? I Verdi avevano giocato dieci stagioni prima che arrivasse a Boston, senza vincere un solo anello. Appena arrivato dopo aver fatto faville coi San Francisco Dons, cambiò per sempre i Celtics, rendendoli la squadra più vincente della Nba.

Il ragazzo della Louisiana fu molto più importante di quanto si possa sospettare dalle statistiche, visto che fu fondamentale anche nella battaglia per i diritti civili. Cosa rese Bill Russell fondamentale per il futuro del basket fu il fatto di trasformare la figura del pivot da oggetto più o meno immobile buono solo perché alto, nella pietra angolare di ogni difesa vincente. Nel 1954, quando era ancora al college, Sports Illustrated scrisse che se avesse imparato a tirare a canestro, si sarebbero dovute riscrivere le regole del basket. Fu una profezia incredibilmente accurata. Le stoppate, una volta considerate roba da playground, divennero fondamentali grazie a lui. Fu Bill Russell a ridefinire da solo cosa vuol dire ‘dominare il pitturato’: chiudere la carriera con 22,5 rimbalzi di media è la testimonianza più genuina della sua incredibile grandezza.

1. Michael Jordan

C’era forse qualche dubbio su chi fosse il più grande di sempre? Probabilmente si continuerà a discutere per decenni, suscitando l’ira dei fedelissimi di His Airness ogni qual volta un nuovo giocatore dominerà l’Nba ma nessuno potrà mai avere l’impatto unico che Michael Jordan ha avuto sullo sport. Quando un atleta è talmente iconico da convincere legioni di tifosi da ogni parte del mondo a pagare cifre assurde per scarpe una volta considerate quasi dozzinali, tanto da accumulare una fortuna immensa, automaticamente entra in un’altra categoria. MJ non è stato un giocatore di basket, ha definito un’epoca, trasformando l’Nba da un campionato da appassionati popolare solo in America in un vero e proprio fenomeno globale. Fu tutto merito del marketing, della sua personalità, della sua volontà di non entrare in questioni politiche perché ‘anche i Repubblicani comprano le scarpe’? Niente del genere. MJ era un giocatore trascendentale.

Nei 19 anni passati nella Nba, Michael Jordan ha vinto sei titoli, fu nominato cinque volte Mvp della regular season, trasformando una franchise fondamentalmente sfigata come i Chicago Bulls in una delle più leggendarie di sempre. MJ era devastante tanto in attacco quanto in difesa ma, una volta supportato da gregari di talento e da un allenatore al suo livello, diede vita ad una delle dynasties più forti di tutti i tempi. Storie delle sue imprese leggendarie, da quando mise una gara clamorosa anche se a malapena si reggeva in piedi a quando tirava fuori la lingua per indicare che stava per spaccare la partita, si racconteranno per decenni nelle scuole basket. Gli ultimi anni a Washington li abbiamo già dimenticati; Michael Jordan rimarrà per chissà quanto la pietra di paragone, il modello da imitare per chiunque sogni di dominare uno sport. Come lui nessuno mai.

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