La confessione non è arrivata in un momento preciso ma si è rivelata a più riprese nel corso delle quasi nove ore di un vero e proprio interrogatorio fiume. «L’amavo, la volevo per me, non accettavo che fosse finita», ha raccontato Filippo Turetta al pm nel carcere di Montorio di Verona. Frasi rotte dalle lacrime e dai silenzi, dalle lunghe pause. Poi la frase più inquietante, sentita troppe volte dalle bocche degli autori di femminicidi: «Doveva essere soltanto mia». La possessività, l’ossessione. Senza mai alzarsi dalla sedia, l’assassino avrebbe poi aggiunto di voler «pagare e scontare la pena per le mie responsabilità di un omicidio terribile».
Ricalcando il più drammatico dei cliché, Turetta ha spiegato che ha ucciso l’ex fidanzata Giulia Cecchettin perché non si dava pace per la fine della relazione con la ragazza, che l’aveva lasciato la scorsa estate. Avrebbe provato in tutti i modi a recuperare il rapporto, anche con violenza psicologica e stalking, come la stessa Giulia confidava alle amiche. Poi, di fronte all’ennesimo rifiuto, «quella sera mi è scattato qualcosa in testa, ho perso la testa». Questa la verità di Filippo Turetta, difeso dai legali Giovanni Caruso e Monica Cornaviera, che ha di fatto cercato di respingere l’ipotesi di premeditazione, descrivendo il suo come un delitto d’impeto.
La pianificazione del femminicidio resta così uno dei nodi ancora da sciogliere. Sul corpo di Giulia Cecchettin l’esame necroscopico non avrebbe rivelato tracce evidenti di legature con lo scotch né sulla bocca né sulle mani. Un pezzo di nastro adesivo – che Filippo aveva acquistato online prima di quel sabato dell’orrore – era stato rinvenuto, insieme a tracce di capelli, nel luogo della seconda aggressione: la zona industriale di Fossò. E l’autopsia che si è svolta nelle stesse ore della confessione di Turetta ha permesso di ricostruire gli attimi orribili della morte di Giulia. Colpita con 26 fendenti sferrati con quella lama da 12 centimetri trovata nell’auto del fuggitivo in Germania, la studentessa è morta dissanguata. Le ultime coltellate Turetta potrebbe averle sferrate all’interno dell’auto nella zona di Fossò, dopo aver spinto a terra la ragazza che fuggiva. L’autopsia, terminata dopo 14 ore proprio per la quantità di traumi, fratture e ferite, ha però accertato che non è stata la ferita alla testa ad uccidere Giulia ma alcune coltellate profonde al collo che hanno causato la lenta e inesorabile emorragia. Le ricostruzioni degli inquirenti si stanno concentrando proprio sui 10 minuti a Fossò, dove si suppone che l’ex fidanzato di Giulia, dopo aver caricato il corpo della ragazza ormai priva di sensi sul sedile posteriore dell’auto, si sia fermato poco lontano per colpirla a morte. Al pubblico ministero Andrea Petroni il ragazzo ha detto di non riuscire a capire cosa sia successo nella sua testa e più volte ha ripetuto di aver fatto una cosa «orribile». Si dice pentito e affranto ma anche pronto a pagare. Per lui si prospetta un processo immediato per omicidio volontario e sequestro di persona, con l’incognita dell’aggravante della premeditazione.