Si è spento in mattinata dopo una lunga malattia all’Hospice Gigi Ghirotti di Genova, circondato dall’affetto della famiglia, il fotoreporter Ivo Saglietti (75 anni). Una scomparsa che lascia un profondo vuoto nel mondo della fotografia, visto il grande valore del suo lavoro a cui partecipava in maniera quasi empatica raccontando la realtà in maniera vivida e stabilendo con le persone ritratte un rapporto umano e quasi amicale. Aveva collaborato anche con la nostra testata, ilGiornale.it, con la grande passione che lo ha sempre contradistinto. “Ciò che gli premeva raccontare era l’uomo e il suo destino“, raccontano i familiari. I funerali, in forma laica, si terranno lunedì 4 dicembre alle ore 12 presso la cappella laica del cimitero di Staglieno (Genova).
Gli inizi come cineoperatore
Nato a Toulon, Francia, inizia l’attività lavorativa a Torino come cineoperatore, producendo alcuni reportage di tipo politico e sociale. Nel 1975 si avvicina alla fotografia, lavorando nelle strade e nelle piazze della contestazione. Nel 1977 si trasferisce a Parigi e da lì inizia il suo lungo viaggio come fotoreporter, dapprima con agenzie francesi, in seguito per alcune americane e prestigiosi magazine internazionali (Newsweek, Der Siegel, Time) oltre che per il New York Times, per i quali documenta situazioni di crisi e di conflitto in America Latina, Africa, Balcani e Medio Oriente.
Nel 1992 conquista il premio World Press Photo (nella categoria Daily Life, stories) con un servizio su un’epidemia di colera in Perù e nel 1999 la menzione d’onore allo stesso concorso per un reportage sul Kosovo. Contemporaneamente inizia a lavorare su progetti a lungo termine: Il Rumore delle Sciabole (1986-1988), documentando la società cilena durante gli ultimi due anni della dittatura militare del generale Augusto Pinochet.
I grandi reportage
Con gli anni Saglietti si dedica sempre più spesso a progetti personali di documentazione, che gli permettono di affrontare una storia in modo più articolato e meno condizionato dalle esigenze stringenti dei settimanali, come nel reportage che ripercorre la via della tratta degli schiavi dal Benin, alle piantagioni di canna da zucchero della Repubblica Dominicana e di Haiti, o come in quello sulle tre malattie che devastano i paesi del Terzo mondo – aids, malaria e tubercolosi – realizzati negli anni Novanta e Duemila.
Dal 2000 diventa membro associato dell’agenzia foto giornalistica tedesca Zeitenspiegen Reportagen, per la quale lavora ad un progetto sulle frontiere nel Mediterraneo e Medio Oriente.
I grandi riconoscimenti
Saglietti per tre volte vince il World Press Photo, prestigioso riconoscimento per i fotogiornalisti, ma tanti altri sono stati i premi ricevuti nella sua vita: da Fotografi al Servizio della Libertà del 1996, al M.I.L.K. Moments of Intimacy del 2000. E poi ancora il premio Enzo Baldoni per il giornalismo nel 2006, Fotografo dell’anno sempre nel 2006 e il premio Bruce Chatwin, Occhio Assoluto del 2010.
Il nostro ricordo
Il grande maestro aveva tenuto per ilGiornale.it alcuni workshop di fotografia, mettendo a disposizione il suo grande talento a tutti gli appassionati. Lo ricordiamo per la sua grande sensibilità per l’umanità e il valore che sapeva dare alla riflessione e al tempo.”Credo che la responsabilità di tutto ciò sia la velocità con cui viviamo, e io sono un profeta della lentezza“, aveva raccontato nel nostro incontro. E poi ancora “Ciò che mi interessava della fotografia era soprattutto cercare di documentare e di capire il destino dell’uomo. Oggi mi rendo conto che era un po’ presuntuosa come idea, ma per me la fotografia è sempre stata legata all’uomo, alle sue vicende, ai suoi drammi, ma anche alle sue gioie“.