Bonelli e la parabola verde (d’imbarazzi): dallo scandalo Soumahoro all’accusa di patriarcato

Bonelli e la parabola verde (d'imbarazzi): dallo scandalo Soumahoro all'accusa di patriarcato

C’è ovviamente l’ecologismo prima di tutto. Perché la giustizia sociale, a casa loro, va di pari passo con la giustizia climatica. Epperò è un ecologismo un tanto al chilo. Quello della serie che, pur di dare contro al governo, ti spinge ad esporre alla Camera quattro o cinque sassi dell’Adige in secca. “In situazione di normalità stavano sul fondo, invece io li ho presi a piedi…”. Quasi uno show, quello di Angelo Bonelli, se non fosse che dall’altra parte della barricata c’era il premier Giorgia Meloni. “Presumo lei non voglia dire che io in cinque mesi ho prosciugato l’Adige. Neanche Mosè…”. Ha risposto lei. E lui muto. Sarebbe potuto bastare questo siparietto a descrivere la parabola del deputato green: catapultato in Aula grazie ai voti del Pd (perché lui e il fido Nicola Fratoianni, assieme, sarebbero andati poco oltre lo zero-virgola) e subito schiantato contro il muro. Poi, però, sono arrivati gli scandali che lo hanno messo a nudo su due dei temi che più gli stanno a cuore: l’accoglienza degli immigrati e la lotta al patriarcato.

A far esplodere l’ultima bega è stata la co-portavoce del partito, Eleonora Evi, che ieri si è dimessa dall’incarico criticando aspramente Bonelli. “Non sarò la marionetta del pinkwashing”, ha detto sbattendo la porta. E poi: “È l’ennesimo partito personale e patriarcale”. Insomma la sua sarebbe stata una “mera carica di facciata”. Un vera e propria doccia fredda per i compagni in salsa green che, sino al giorno prima, erano in giro a starnazzare contro le destre patriarcali e anti femministe. Non che le dimissioni della Evi siano state dettate da un vero revanscismo rosa. La realtà dietro la pantomima dei verdi è il collasso del partito guidato da Bonelli. Un partito che conta più dirigenti che iscritti e che a livello politico non è mai riuscito a incidere qualcosa. A pesare, sicuramente, oltre all’inesistenza nelle urne, è il peso che si portano dietro lo scandalo legato alle cooperative della famiglia Soumahoro.

Altra parabola, quella del suo deputato-icona contro il caporalato, che sicuramente non ha fatto gran bene a Bonelli e compagni. Entrato a Montecitorio coi verdi alzando il pugno chiuso al cielo e calzando un paio di stivali sporchi di fango per sensibilizzare sullo sfruttamento degli immigrati nei campi, Soumahoro è finito ben presto nel gruppo Misto dopo che le inchieste giudiziarie hanno travolto la moglie Liliane Murekatete e la suocera Marie Therese Mukamitsindo. Lui si è sempre detto estraneo ai fatti e, quando ha lasciato il partito, non ha mancato di accusare la dirigenza: “Non hanno speso mezza parola per tutelarmi”. Troppo ingombrante lo scandalo: i soldi della cooperativa, che sarebbero dovuti andare agli immigrati, sarebbero stati spesi per lussi e agi. Certo che, se Aboubakar nulla sapeva dei traffici della moglie, figuriamoci Bonelli. Poco cambia. Scandalo dopo scandalo la parabola verde è ormai alla fine.

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