Di buone intenzioni è lastricata la via della giurisprudenza creativa, percorsa da alcuni tribunali più di altri. Mentre in Europa si discute di come interrompere i flussi migratori per evitare tragedie come quella di Cutro con almeno 94 morti (il governo sarà parte civile nel processo penale contro gli scafisti che hanno causato la strage sulle coste calabresi del 26 marzo scorso), mentre persino la presidente della commissione Ue Ursula von der Leyen si è accorta che i trafficanti di esseri umani rappresentano un nemico da combattere, con il Viminale impegnato nelle espulsioni, a Milano c’è chi considera l’esperienza della clandestinità e il viaggio dalla Libia all’Italia un’attenuante che giustifica l’aver rubato un telefonino.
Della vicenda che ruota attorno alla perizia disposta dal gip milanese Fabrizio Filice e affidata a due psichiatri. Un 22enne in custodia cautelare per la tentata rapina aggravata di un cellulare alla Stazione centrale del capoluogo lombardo potrebbe avere un significativo sconto di pena. L’esperienza del ragazzo, ricostruita l’altro giorno dal Corriere della Sera, non è certo da invidiare, «tra un campo di trafficanti in Libia, in attesa che i familiari in Marocco pagassero il suo riscatto chiesto via foto social di una pistola alla tempia, e l’attraversamento di un confine desertico a piedi, nel miraggio dell’imbarco poi per Lampedusa».
Per i due esperti, questa dolorosa esperienza della migrazione «ha costituito un fattore patogeno, aggravando in un post-adolescente i preesistenti aspetti di disregolazione del comportamento». In pratica, secondo la perizia voluta dal gip Filice, c’è un «deragliamento clinico manifestato dopo l’arrivo in Italia con un abuso molto più intensivo di sostanze e la messa in atto di comportamenti criminali» che potrebbe valere una parziale «incapacità di intendere e volere» di un ragazzo che, scrive ancora il Corriere, «si percepisce come indirizzato verso luoghi che promettono maggiori gratificazioni che però non ha colto, non riuscendo a sviluppare ruolo lavorativo e stabilità sociale, seguendo invece fantasie poco fondate». Contro un comportamento potenzialmente recidivo gli esperti chiedono il servizio psichiatrico e il Sert per curarne la tossicodipendenza.
Se questa impostazione facesse scuola, sempre più migranti clandestini finirebbero a ingolfare il nostro sistema sanitario anziché essere espulsi.