Avere reso di pubblico dominio i contatti tra l’anarco-terrorista Alfredo Cospito e alcuni esponenti del Partito democratico porta a processo il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove. Non è bastato che per due volte la Procura di Roma avesse chiesto di archiviare tutte le accuse, ritenendo l’esponente di Fratelli d’Italia innocente del reato di rivelazione di segreto d’ufficio. Ieri il giudice preliminare Maddalena Cipriani scavalca la richiesta della Procura e manda Delmastro a processo. Prima udienza il prossimo 12 marzo, e una mina sul rapporto già difficile tra governo e giudici.
A mettere nel mirino Delmastro erano stati sia l’estrema sinistra che il Pd: la prima con la denuncia del deputato Angelo Bonelli che ha dato il via al caso, il partito della Schlein con il tentativo di quattro suoi esponenti di costituirsi (invano) parte civile conto il sottosegretario. La colpa di Delmastro: avere riferito al suo collega di partito Giovanni Donzelli degli incontri di Cospito in carcere con i Pd Deborah Serracchiani e Walter Verini, notizie che Delmastro aveva ricavato da appunti della direzione del carcere. Ma la Procura di Roma, dopo avere ricevuto la denuncia di Bonelli, aveva chiesto la archiviazione del fascicolo: non c’era alcuna prova, avevano spiegato i pm Rosalia Affinito e Gennaro Varone, coordinati dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, che Delmastro sapesse che si trattasse di documenti segreti e non semplicemente riservati.
Davanti alla richiesta del pm, era arrivata la prima sorpresa: il giudice preliminare Emanuele Attura aveva respinto la richiesta, accusando in sostanza la Procura di essere stata troppo morbida con Delmastro, e aveva ordinato di formulare un capo di imputazione. Già allora il governo aveva reagito con una nota in cui si sottolineava l’anomalia della cosa, e Area, la corrente delle toghe di sinistra, era insorta a difesa della Attura. Ma la Procura si era trovata comunque costretta a formulare l’imputazione.
Ieri però arriva la seconda puntata. Nell’aula dell’udienza preliminare, davanti al nuovo giudice Maddalena Cipriani si presenta personalmente il procuratore aggiunto Paolo Ielo, a sottolineare che a venire espressa è la linea ufficiale della Procura. Ielo spiega che non è cambiato nulla da quando i suoi pm avevano chiesto la archiviazione; ribadisce che il tema cruciale è la differenza tra atto segreto e atto riservato, e che la stessa Procura ha dovuto analizzare per due mesi fatti e regole per capire a quale categoria appartenesse il rapporto reso noto da Delmastro. Se la differenza è così sottile, dice, non possiamo pretendere che fosse chiara da subito neanche a Delmastro. Per questo, insiste Ielo, il sottosegretario va prosciolto. Ma c’è di più. Ielo ricorda anche che da un anno, con la riforma Cartabia, è entrato in vigore il principio per cui si può mandare a processo un imputato solo se è possibile «formulare una ragionevole previsione di condanna». E questo, afferma il procuratore, nel caso di Delmastro non è possibile. La colpevolezza del sottosegretario è ben lontana dall’essere dimostrata.
Ma al giudice Cipriani basta una breve camera di consiglio per dare torto nuovamente sia a Delmastro che alla Procura: nessuna archiviazione, il sottosegretario finisce sotto processo. Certo, la Cipriani è un giudice noto per la sua severità, e nel 2009 per il delitto di via Poma rinviò a giudizio un innocente. Ma lì, se non altro, la Procura era d’accordo con lei. Qui invece un pm e un procuratore aggiunto insospettabili di collusioni col governo avevano detto due volte che di prove per condannare Delmastro non ce ne sono. E quest’ultimo, a sera, dice la sua: «Non mi aspettavo il rinvio a giudizio a sono sereno, non ho violato nessuna segretezza. Fiero di non aver tenuto segreto il fatto. Lo rifarei senza ombra di dubbio. Mi pareva rilevante raccontare che c’era un attacco concentrico al 41 bis tra anarchici e terroristi».