Vittorio Valletta, il ragioniere divenuto re della Fiat

Vittorio Valletta, il ragioniere divenuto re della Fiat

Un personaggio controverso, discusso, ma incontrovertibilmente fondamentale per ricostruire il tessuto industriale italiano dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale. Vittorio Valletta è stato un pilastro del miracolo Fiat, un capitano che ha saputo guidare il proprio vascello fino a riva, affrontando tempeste inaudite. Nel tragitto si è bagnato, sporcato, ma ne è uscito vincitore. Non è un caso che il Presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, dopo averlo innalzato al ruolo di senatore vita, gli dedicò un sincero epitaffio nel giorno della morte, onore destinato solo ai più grandi.

Si spegne con Vittorio Valletta il più alto rappresentante di una borghesia promotrice di conquiste sociali e benessere per la classe lavoratrice, di sviluppo e progresso per la nazione. L’atmosfera seria e laboriosa di Torino gli fu congeniale e da essa trasse ispirazione e forza per fare della Fiat la massima impresa industriale italiana e per contribuire più di ogni altro a quel miracolo economico che ha collocato il nostro Paese tra le prime nazioni industriali del mondo. Inchinandomi reverente innanzi alle spoglie mortali del primo operaio della Fiat, so di interpretare il sentimento profondo della intera nazione“, così diceva Saragat il 10 agosto del 1967.

I primi passi, fino al timone della Fiat

Vittorio Valletta nasce a Sampierdarena, oggi quartiere di Genova, il 28 luglio del 1883. Il padre era un ufficiale del Regio Esercito, successivamente trasferitosi alle Ferrovie di Torino. La madre, di origine valtellinese, era di estrazione piccolo nobiliare. Quest’ultima volle per il figlio un’educazione ferrea e rigida. Grazie agli impulsi di famiglia, Vittorio divenne prima ragioniere e, poi, diplomato presso l’Istituto Superiore di Commercio (oggi facoltà di Economia e Commercio). Dopo essere stato convocato dalla Direzione tecnica dell’Aviazione Militare nel Capoluogo piemontese, finita la Prima Guerra Mondiale, divenne procuratore generale dell’azienda automobilistica Chiribiri, mostrando a tutti la propria pasta nel campo dell’organizzazione e della gestione amministrativa.

Il senatore Giovanni Agnelli col nipote Gianni

Ovviamente le sue doti non passarono inosservate dalle parti di Mirafiori, così Valletta entrò a far parte della Fiat. Il suo primo incarico fu di direttore centrale, poi di direttore generale nel 1928 e di amministratore delegato nel 1939. Durante la Seconda Guerra Mondiale non furono pochi i problemi, e una volta che i cannoni smisero di suonare venne presentato il conto, anche a Valletta. Il Comitato di Liberazione Nazionale volle la sua testa per collaborazionismo, così fu costretto a lasciare la carica. Il Consiglio di Gestione, tuttavia, incontrò non pochi grattacapi e dopo alcuni incontri a Roma, alla presenza dei ministri del Governo provvisorio Giovanni Gronchi e Gaetano Barbareschi, venne deciso di concludere l’esperienza di commissariamento della Fiat. In questo modo, il capitano d’industria Valletta ritornò al suo posto. Nel 1946, Valletta fu nominato amministratore delegato, con il benestare della famiglia Agnelli, orfana del grande capo Giovanni, scomparso sul finire del ’45. L’AD mise il giovane padrone dell’azienda, Gianni Agnelli, di fronte all’alternativa tra guidare la Fiat in prima persona oppure continuare a delegarne la gestione: “I casi sono due: o lei fa il Presidente o lo faccio io”, e Agnelli rispose: “Professore, lo faccia lei”.

Il missionario della Fiat

Da presidente della Fiat Valletta dimostrò di essere lungimirante, adottando una sorta di neo-capitalismo coscienzioso, non indifferente alle esigenze dei lavoratori, che beneficiarono di una lista di benefit estesi anche alle proprie famiglie. Inoltre, la produzione di utilitarie a basso costo fece sì che anche i ceti più bassi del Paese potessero aspirare a possedere un’automobile, mentre agli operai dell’azienda concesse l’opportunità di acquistare i modelli Fiat con lo sconto. Durante il suo ventennio al timone del gigante torinese, mantenne sempre la Fiat autosufficiente e non ricorse mai ai sussidi di Stato, di cui l’azienda si servì dopo di lui.

Fiat 500
Fiat 500 F

Valletta, come lui stesso ammise candidamente, non si limitò a rifare il tetto e riparare i vetri della fabbrica dopo le bombe della guerra, ma traghettò l’industria torinese verso obiettivi più ambiziosi, propedeutici alla prima internazionalizzazione del colosso italiano. Nel 1966 pensò che Gianni Agnelli, ormai quarantacinquenne, non avesse intenzione di salire al posto di comando della Fiat, ma si sbagliò. A quel punto Valletta rimase presidente onorario, mentre il suo delfino designato alla successione, Gaudenzio Bono, non prese mai il suo posto, restando comunque Amministratore delegato per un quinquennio. L’ultimo atto del “professore” fu un accordo di straordinaria importanza con Autopromimport, l’ente sovietico per l’importazione di materiale automobilistico, per la realizzazione, da parte della FIAT, del progetto VAZ, un grosso stabilimento di produzione di autovetture nella regione del Volga. Nella città di Togliatti, da noi chiamata volgarmente “Togliattigrad”, nacque il vero cuore pulsante dell’industria a quattro ruote oltre la cortina di ferro, con la spinta di Mirafiori. Valletta si spense a Le Focette, località nel comune di Pietrasanta, il 10 agosto del 1967 per un’emorragia cerebrale. Appena un anno dopo aver abbandonato la sua missione di numero uno della Fiat. La fine di un regno.

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