È dove nessuno guarda, citando un podcast dal successo più che meritato, che spesso si nascondono le vicende giudiziarie più controverse. Così è per il femminicidio di Valentina Di Mauro, per mano del compagno, l’estate dell’anno scorso a Cadorago, nel comasco. Una storia troppo simile a tante altre (ma con meno appeal mediatico) che si è conclusa con una sentenza che alle parti civili, e non solo, è apparsa fin troppo benevola per il killer, condannato a 22 anni di carcere.
Niente aggravante della crudeltà, attenuanti generiche (anche se non ha mai voluto risarcire le parti civili né ha mai chiesto scusa ai familiari, assistiti dall’avvocata Vera Dall’Osto) e vizio parziale di mente, scrivono i giudici della corte d’Assise comasca, in cui si è evocato un «cortocircuito» mentale dell’assassino: il vecchio e contestato black-out, per intendersi. Il pm aveva chiesto 15 anni, chiedendo che le attenuanti prevalessero sulle aggravanti. Una tesi che appare discutibile leggendo le 17 pagine di motivazioni. La vittima, 33enne, viene uccisa a coltellate dal compagno all’alba del 25 luglio 2022. Dorme, Valentina Di Mauro, quando viene colpita per la prima volta. Il 37enne, autoconvinto che lei lo voglia lasciare (non era così, secondo le indagini) dopo le prime coltellate la insegue fino al bagno e si accanisce su di lei per 58 volte. Secondo il perito, Campanaro aveva una psicosi paranoide anche se il «quadro psicotico» non è «conclamato» e «di vecchia data». E parla del cosiddetto «corto circuito». Tempo prima la giovane aveva fatto un viaggio alle Maldive insieme alla famiglia di cui accudiva i figli: non per vacanza, ma per lavorare. Da quel momento, Campanaro si era convinto che lei potesse conoscere qualcuno migliore di lui. Lei aveva provato convincerlo del contrario, prenotandogli anche delle visite per l’ansia, mai avvenute. Lui l’aveva anche aggredita. «Rabbia narcisistica», scrive il perito. Tanto è bastato per evitargli la condanna all’ergastolo.