Guerra a moschee e minareti: l’ultima stretta della Cina contro l’Islam

Guerra a moschee e minareti: l'ultima stretta della Cina contro l'Islam

La Cina sta chiudendo o rimodellando forzosamente le moschee presenti sul proprio territorio, in quella che sembrerebbe essere una stretta contro l’Islam e le minoranze musulmane presenti nel Paese. Una prima segnalazione è contenuta in un report firmato Human Rights Watch (Hrw), che ha pubblicato fotografie aeree da cui si evince come le cupole e i minareti delle strutture religiose situate nella regione autonoma di Ningxia Hui e nella provincia del Gansu siano stati rimossi, e sostituiti in parte da soluzioni architettoniche tradizionalmente cinesi. Sul tema ha indagato anche il Financial Times, che ha proposto un lungo articolo sottolineando la trasformazione delle moschee.

La stretta della Cina contro le moschee

A proposito del FT, il quotidiano inizia il suo approfondimento pubblicando la foto della moschea Doudian di Pechino. Con le sue straordinarie cupole e i minareti decorati, era una delle più grandi della Cina settentrionale. Qualcosa è però cambiato, a giudicare da un’immagine risalente all’inizio dell’anno in corso. L’edificio è diverso, ha perso le sue forme originali, non ha più i minareti, le cupole sono state sostituite con coni in stile pagoda, mentre i suoi archi in stile arabo sono stati squadrati.

Se in passato tendenze del genere erano state rilevate per lo più nello Xinjiang, la regione nord-occidentale cinese dove risiede la minoranza turcofona e musulmana del Paese, adesso sembra che la pratica sia diffusa in tutta la Cina. Un’indagine visiva basata su immagini satellitari di migliaia di moschee prima e dopo le modifiche rivela la politica, sempre più comune, di spogliare gli edifici delle loro caratteristiche arabe e in alcuni casi di sostituirne le peculiarità con disegni tradizionali cinesi. Alcune strutture sono state addirittura demolite.

Analizzando 2.312 moschee un tempo caratterizzate dall’architettura islamica, il FT ha scoperto che, dal 2018 ad oggi, tre quarti di esse sono state modificate o distrutte. Per gli attivisti dei diritti umani si tratta di un pugno duro contro l’Islam; per il governo cinese, semplicemente di cambiamenti che mirano a modernizzare le moschee e ad “armonizzarle” con la cultura cinese. Tali modifiche sono state prevalenti nelle regioni che ospitano la più alta popolazione di gruppi etnici di religione islamica. Nella regione occidentale del Ningxia, l’analisi satellitare mostra che oltre il 90% delle moschee con architettura islamica sono state rimosse. Nella provincia nordoccidentale del Gansu la percentuale supera l’80%.

L’Islam in Cina

La Cina ospita circa 20 milioni di musulmani. Anche se la minoranza uigura è la più conosciuta, più della metà dei fedeli cinesi che pratica questa religione appartiene al gruppo etnico Hui. Per la cronaca, James Leibold, esperto di politiche etniche cinesi presso l’Università La Trobe in Australia, ha definito gli Hui, agli occhi dello Stato cinese, come i “buoni musulmani”, che “parlano la lingua cinese e si attengono agli elementi fondamentali della sua cultura”.

In ogni caso, Pechino sostiene che le sue politiche nello Xinjiang siano necessarie per combattere il terrorismo, creare unità e promuovere lo sviluppo economico. La promozione di valori culturali condivisi è stata utilizzata come spiegazione anche per giustificare la rimozione di elementi ritenuti non cinesi dalle moschee di tutto il resto del Paese. “La demolizione delle cupole delle moschee è l’aspetto più visibile della politica di sinicizzazione, che mira a una riarticolazione su vasta scala del rapporto tra Partito e religione“, ha affermato Hannah Theaker, storica dell’Islam in Cina presso l’Università del Regno Unito di Plymouth.

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