Gerusalemme Palloncini, sorrisi, discorsi di tenerezza e benvenuto. Israele è un Paese che da quando è nato non fa altro che festeggiare commosso la sua resurrezione da guerre, il superamento dei suoi terribili lutti, la sua gioia di essere vivo e l’incredibile resistenza dei suoi cittadini e soldati. La gioia di chi ritorna e di chi lo accoglie è in questi giorni fonte di grande fiducia. Si cerca di risorgere un po’ nei ritorni degli ostaggi. Ma è difficile ripararsi dalle immense contraddizioni che la gioia contiene, i soldati aspettano sulla sabbia di Gaza, è un confronto perdente col sadismo di Hamas: anche ieri la restituzione è contestata e ritardata. Hamas rompe i patti, divide madri e bambini a suo piacimento in modo da allungare i tempi e avere tregue più lunghe, offre ostaggi ottenendo un sì peri prossimi due giorni senza promettere gli altri 18 bimbi di cui anzi lascia intendere di aver perso le tracce. Non a caso ieri c’erano solo due mamme; e ancora i due bambini Bibas dai capelli carota che tutto il mondo conosce, uno dei quali ha 10 mesi, non sono fra i restituiti.
Hamas sostiene di non averli. Hamas cerca anche di confondere la testa del mondo suggerendo una sindrome di Stoccolma con finti saluti gentili dei mostri e delle loro vittime. Ma poi è chiaro: Elma Avraham, 84 anni, appena giunta in Israele è crollata in una sorta di coma. Tutti sono denutriti, Adina Shoshani di 72 anni, il cui marito era stato appena assassinato, scendendo dalla macchina ha respinto con la mano il braccio del terrorista. Ma se sono una bandiera le foto di Avigail, 4 anni, restituita dopo 50 giorni di prigionia, è difficile ignorare che questa bambina non ha più casa, la sua mamma e il suo babbo sono stati assassinati a Kfar Aza, le restano i nonni e i due fratellini Michael di 9 anni e Amalia di 6 che si sono salvati restando zitti chiusi un armadio per sei ore mentre i mostri cercavano altre vittime nella casa.
E se tutta Israele tesse una tela di positività indispensabile, di generosità unica, pure la tragedia del 7 ottobre è immanente, onnipresente finché Hamas non sarà sconfitto.
Hila, 13 anni, accolta nelle braccia dello zio, è tornata senza mamma: Raya Rotem era con la figlia fino a poche ore prima del rilascio e Hamas dice invece che ne ha perso le tracce. Manipolazioni. Anche Maya Regev è stata restituita mentre Itay, suo fratello di 18 anni, è sempre nelle mani dei terroristi. Chi ha visto la foto di Chen Goldstein che finalmente riceve fra le sue braccia Agam (17 anni), Gal (11) e Tal (9) sente un grande dolcezza e consolazione: ma forse i bambini ignorano che sono orfani del padre e della sorella 19enne Yam, uccisa col papà. Ella Elyakim di 8 anni e la sorella Dafna di 14 che finalmente abbiamo potuto vedere nelle braccia della mamma, hanno visto assassinare il padre, la sua compagna, il loro bambino Tomer. Le storie che accompagnano queste e tutte le altre vicende sono complicate una a una, con nascondigli, bruciati vivi, tagliati a pezzi, sono peggiori di qualsiasi film dell’orrore, sono storie di caccia alle donne ai bambini.
L’amore della gente di Israele accompagna uno a uno chi ritorna; anche chili accoglie è orfano, vedovo, scioccato. Gli ultimi ostaggi, quasi tutti bambini, sono stati scortati con boria militare dai gruppi di terroristi che Sinwar ha usato nello sterminio, persino con le stesse macchine pickup bianche. Dentro il Nord di Gaza, dove specie a Sajaia sembra essere viva la forza di Sinwar, i soldati aspettano il segnale.
Ci vorrà ancora del tempo, lo scambio durerà altri due giorni almeno. Molti calcoli dicono che anche dopo queste manovre, Hamas si terrà ancora 18 bambini in mano. Ma alla fine, è escluso che Israele non riprenda la battaglia per tornare a dare ai suoi, a tutti quanti, una casa.