Carissima Federica,
mi sento lusingato dai tuoi complimenti e ti confesso che, leggendo l’incipit della tua epistola, ho pensato: «Ma che ci sta a provare?». Ovviamente scherzo. Concordo pienamente con te e sovente mi sono sentito obbligato a mettere in luce questa discriminazione imperante nei confronti degli anziani, argomento di cui mi occupo anche nel mio ultimissimo libro, uscito nelle librerie neppure un mese fa. I vecchi aumentano sempre di più e diventano peraltro sempre più vetusti, tanto che cresce pure il numero dei centenari ed ultracentenari, tuttavia questo fenomeno non si accompagna ad una maggiore attenzione nei riguardi di una fetta importante di popolazione, semmai paradosso monta contestualmente una sorta di insofferenza verso la terza e quarta età: i nonni sono addirittura odiati, trasformati nel capro espiatorio di tutte le frustrazioni sociali, ghettizzati, isolati, tanto che sono milioni quelli che campano nella solitudine. Perdono il coniuge, vengono abbandonati dai figli, la società non li considera e si ritrovano a vivere in una specie di isolamento lenito soltanto dalla presenza di un quattrozampe, angelo custode e fonte di amore. Va peggio a coloro che, raggiunta una certa età, vengono rinchiusi in ospizi che assomigliano più a lager che a case di riposo. Non riesco ad immaginare un destino più tragico: permanere lì, imprigionati, subire maltrattamenti, vessazioni, angherie, violenze, attendendo la morte come fosse una sorta di liberazione da quell’inferno quotidiano. Fatti rari? Eccezioni? Quanto vorrei poterlo credere, invece la cronaca ci racconta troppo di frequente realtà di questo tipo, che ci fanno accapponare la pelle. Se ne parla per qualche minuto e poi tutto termina lì, nessuno scende in piazza per i vecchi, nessuno si indigna, nessun giornale insiste sulla notizia, nessun programma televisivo approfondisce la questione. Ciò che trovo più assurdo è che fino a qualche decennio fa gli anziani erano, all’interno delle famiglie e nella comunità in generale, più rispettati. Siamo stati allevati con questa mentalità, abbiamo assorbito questa cultura, abbiamo ricevuto queste regole: gli anziani sono fonte di saggezza, cui fare riferimento, vanno preservati, aiutati, onorati, protetti. E poi cosa è accaduto? Beh, credo che il culto isterico della giovinezza, elevata oggi a valore, ci abbia indotti a sviluppare un sentimento di ripudio e di orrore nei confronti della vecchiezza e della vecchiaia unito ad una vera e propria ossessione verso la forma fisica, la bellezza, la prestanza, la freschezza. La vecchiaia è l’anticamera della fine, vero. Ma a questa anticamera, che può essere molto piacevole, c’è chi non ci arriva. Meglio giungerci che non giungerci, meglio essere anziano che crepare giovane, per quanto gli antichi greci sostenessero che «caro agli dei è chi muore giovane». Vorrei ricordare a quanti maltrattano i vecchi che, un domani, se avranno culo, toccherà a loro di invecchiare, se non avranno culo, gli toccherà di invecchiare e di ricevere il medesimo trattamento che hanno riservato ad altri anziani. Dopotutto, esiste una sorta di Giustizia del cielo, che qualcuno denomina «karma», per cui quello che fai o dai ti viene restituito già in questa vita, non soltanto dopo.
Ho sempre provato un sentimento di profonda e addirittura struggente tenerezza davanti ad un anziano. La tenerezza che mi suscita un bambino è diversa, non è dolorosa come quella che mi produce un vecchio. E oggi sì, sono anziano anche io e non nego che compiere ottant’anni qualche mese addietro sia stato per me traumatico. Soltanto quel giorno mi sono reso conto di essere cresciuto tanto. Il corpo si attempa, ma l’anima no. L’anima resta giovane. Come spiegare tutto questo a chi non lo vive?
Misera e cadente la società che non ha a cuore la sua parte più sapiente: gli anziani.