Quando i primi mezzi della Croce Rossa hanno varcato, con a bordo gli ostaggi israeliani liberati, il confine della Striscia di Gaza subito ci si è chiesti quali fossero le loro condizioni di salute. E in che modo hanno vissuto quella forzata prigionia durata sette settimane. Un modo, tra le altre cose, per immaginare le condizioni degli altri ostaggi ancora nelle mani di Hamas e di altre organizzazioni palestinesi. A distanza di giorni dal rilascio del primo gruppo di civili, sono emerse le prime testimonianze raccontate dai diretti interessati.
La vita tra i tunnel
I soldati israeliani non hanno avuto modo di accertare l’ubicazione dei nascondigli di Hamas. Gli ostaggi, una volta comunicata la lista di persone da liberare redatta da Hamas, vengono prelevati dai luoghi in cui sono stati detenuti e trasferiti verso i punti di contatto con la Croce Rossa. Da qui poi vengono indirizzati verso il confine israeliano o verso il valico di Rafah.
A giudicare però dai primi racconti emersi dalle dichiarazioni degli ostaggi liberati, così come previsto dalla stessa intelligence israeliana, i nascondigli sono ricavati sottoterra. Gran parte delle persone rilasciate, hanno dichiarato di aver trascorso tutto il tempo nei tunnel sotto Gaza. Secondo quanto sottolineato dai servizi delle tv israeliane, ai propri parenti le persone rilasciate hanno raccontato di aver sentito distintamente, dai luoghi della propria detenzione, i rumori provocati dai bombardamenti sulla Striscia.
In un caso invece, un ostaggio liberato ha riferito di essere stato tenuto in prigionia all’interno di un palazzo e non di un tunnel. Il racconto è arrivato da Roni Kriboy, 25enne russo israeliano rilasciato a seguito di una trattativa parallela e diretta tra Hamas e il governo russo. Kriboy, in particolare, ha trascorso la detenzione dentro uno stabile poi centrato da un missile israeliano. Il crollo dell’edificio gli ha causato un trauma cranico e ha approfittato della confusione per scappare. Ai media israeliani, la zia ha raccontato che il ragazzo ha vagato da solo per 4 giorni in cerca del confine da oltrepassare. Ma è stato ripreso dai miliziani di Hamas e poi, con la mediazione del Cremlino, liberato.
Per chi ha trascorso tutte le ultime settimane all’interno dei tunnel, le possibilità di fuga erano invece ovviamente negate. La vita dentro i cunicoli ricavati sotto la superficie di Gaza non è stata semplice. L’unico aspetto positivo riguarda la mancanza di segni di tortura o violenze tra gli ostaggi liberati. Questo però non ridimensiona la portata dei traumi da loro subiti. Oltre alla paura di essere coinvolti negli scontri e allo shock relativo ai fatti del 7 ottobre, i civili israeliani hanno dovuto convivere con le privazioni dettate da una prigionia molto dura.
Dai racconti, è emerso come il cibo a disposizione degli ostaggi spesso non è stato sufficiente per garantire un’adeguata alimentazione. I carcerieri ogni tanto passavano con razioni di pane e riso, a volte anche con scatole di fagioli. Scatole che, come raccontato ai media locali dalla nipote di Adina Moshe, 72enne liberata nei giorni scorsi, molti ostaggi preferivano non aprire per non avere in seguito mal di stomaco. Anche le condizioni igieniche, come prevedibile in situazioni del genere, hanno rappresentato un grave problema. Nei tunnel sotto Gaza non ci sono docce e molti ostaggi sono tornati in Israele con gli stessi abiti con cui erano stati rapiti sette settimane prima.
A patire le conseguenze più gravi sono stati i prigionieri più anziani e coloro che necessitavano di cure. Come nel caso di Alma Avraham, la donna di 84 anni che nel filmato della sua liberazione si vede distesa in barella e aiutata da una ragazza della Croce Rossa. Adesso si trova in terapia intensiva e, tra gli ostaggi liberati, è colei che presenta le condizioni di salute più preoccupanti. A molti altri civili rilasciati, è stata riscontrata un’importante perdita di peso, nell’ordine in alcuni casi anche di 6-8 kg. Ma, complessivamente, presto potranno quasi tutti essere dimessi dagli ospedali.
Preoccupazione per gli ostaggi non detenuti da Hamas
Dai racconti degli ex ostaggi, non sono emersi invece spostamenti o scambi con altri gruppi palestinesi. I civili detenuti nei tunnel cioè hanno vissuto negli stessi luoghi per sette settimane. C’è però il caso di Raaya Rotem Shoshani, donna ancora detenuta da Hamas mentre la figlia è tra gli ostaggi rilasciati. L’accordo con l’Idf prevedeva la liberazione sia della madre che della figlia, i miliziani però dicono di aver perso le tracce di Raaya e di non sapere al momento dove si trova. Per le autorità israeliane si tratterebbe di una bugia: la figlia ha raccontato di essere stata con la madre fino a poche ore prima del rilascio, quando per motivi al momento ignoti sarebbe stata trasferita da un’altra parte.
Ci sono poi, tra coloro che ancora devono essere liberati, almeno una cinquantina di ostaggi nelle mani della Jihad Islamica e di altri gruppi attivi nella Striscia di Gaza. Circostanza che preoccupa per due motivi il governo israeliano. In primis, c’è apprensione sul fatto che gli altri movimenti possano usare con gli ostaggi comportamenti più duri rispetto a quelli di Hamas. In secondo luogo, si temono maggiori difficoltà per la loro liberazione dal momento che gli accordi mediati da Usa e Qatar non contemplano trattative con gruppi diversi da Hamas.