Da Asti a Guadalajara in treno. Può accadere se le carrozze sono quelle delle Ferrovie del Messico, il fortunato romanzo-fiume (sono più di 800 pagine) di Gian Marco Griffi, uscito in sordina nel 2022 ma diventato quest’anno un vero romanzo cult, tanto da aggiudicarsi otto premi letterari ed entrare nella dozzina del Premio Strega. Alla fine, in Messico, Griffi ci è arrivato per davvero, invitato alla Fiera del Libro di Guadalajara, la più importante rassegna espositiva del mercato editoriale latino-americano. Lo incontriamo in un caffè sulla piazza della cattedrale mentre sorseggia una pepsi cola calda: «Niente ghiaccio, non vorrei incorrere nella famigerata vendetta di Montezuma…».
È stato un bel salto per un autore che fino al 2022 aveva pubblicato, senza successo, un solo libro di racconti. «Ammetto che non mi sarei mai aspettato di arrivare fin qui con il mio romanzo, a 10mila chilometri di distanza da Asti e in una delle più prestigiose kermesse letterarie. Scrivo dall’età di diciott’anni e ho collezionato una lunga serie di rifiuti, quando non il silenzio assoluto. È stato frustrante».
Ora però è cambiato tutto, gli editori la rincorrono e c’è stata quasi un’asta per aggiudicarsi la sua prossima opera.
«Ferrovie del Messico mi ha spalancato le porte del salotto buono del mondo editoriale. Mi sono arrivate tante proposte, alla fine ho scelto di firmare un contratto per due romanzi con Einaudi Stile Libero. Intanto i miei treni messicani corrono anche in Europa: la prossima primavera uscirà la traduzione in Francia, per Gallimard, e in Germania, con l’editore Ullstein. Ci saranno persino un’edizione in Repubblica Ceca e una in catalano».
In spagnolo nulla?
«No, ma spero che questa partecipazione alla FIL di Guadalajara mi possa aiutare a trovare un editore interessato, in fin dei conti sulle ferrovie messicane si parla in castigliano».
Ci dica qualcosa del prossimo romanzo che uscirà per Einaudi.
«Ho il soggetto e ho cominciato a scrivere un centinaio di pagine, mi sono venute delle idee nuove persino sull’aereo che dall’Italia mi portava in Messico. La trama però è top secret, posso solo dire che non sarà un seguito delle picaresche avventure di Cesco Magetti, l’antieroe di Ferrovie del Messico».
Ma il bizzarro milite ferroviario che deve completare la mappa delle strade ferrate messicane tornerà?
«Sì, ma non ora. In realtà il romanzo era stato concepito in due parti e quella pubblicata lo scorso anno dal Laurana è solo la prima. Ho idee, personaggi e anche materiale già abbozzato da poter scrivere un altro volume. Ma non adesso, Cesco Magetti si farà vivo più avanti, spero».
Per uno scrittore che a lungo si è occupato soltanto di racconti è stato un bell’azzardo infilarsi in un romanzo con più di 800 pagine…
«Fino a un certo punto. Ferrovie del Messico è costruito con una struttura narrativa basata su quadri, capitoli brevi, aneddoti e moltissimi personaggi, quindi in definitiva non ho snaturato più di tanto il mio amore per il racconto breve: è un romanzo corale con narratori diversi e diversi punti di vista».
Il suo romanzo è piaciuto anche per lo stile, molto letterario e al tempo stesso quasi paesano nell’uso del linguaggio. È difficile per un piemontese usare il dialetto in un’opera di narrativa?
«Non lo so, in realtà io non ho usato il dialetto astigiano, che nessuno avrebbe capito, ma un particolare pastiche di piemontese italianizzato e una struttura sintattica derivata dal dialetto, che rende il linguaggio di Cesco Magetti e degli altri personaggi molto vivace e radicato nell’humus della storia. All’inizio temevo che potesse risultare un freno alla lettura del romanzo, invece si è rivelato un punto di forza».
Ferrovie del Messico le ha cambiato la vita?
«Sì, in effetti questo romanzo mi ha permesso per la prima volta di portare in libreria un progetto proprio come lo avevo pensato e sognato fin dall’inizio. E mi ha consentito di entrare nel mondo editoriale che conta, in questo senso la svolta è stata far parte della rosa dei dodici finalisti dello Strega: da quel momento il libro ha cominciato a volare e mi ha costretto a imbarcarmi in un folle tour promozionale che mi ha portato a girare l’Italia. E poi, non lo dico per apparire ruffiano, è stato molto importante il passaparola dei lettori e il lavoro di segnalazione di centinaia di librai».
Infine, non lo neghi, sono arrivati anche i soldi.
«In realtà per adesso pochi. Il libro ha venduto tanto soprattutto nell’arco del 2023, quindi le royalties arriveranno l’anno prossimo. Però è vero, Ferrovie del Messico è stato un successo anche economico, ho vinto molti premi letterari che avevano un compenso in denaro e mi ha permesso di firmare un buon contratto con una grande casa editrice. Ora se non altro ho i soldi per cambiare la macchina, visto che negli ultimi mesi ho fatto più di 50 mila chilometri in giro per l’Italia per presentarlo».
Con Laurana come si è lasciato?
«Benissimo, sono stati loro stessi a incoraggiarmi a firmare per Einaudi, perché a certe opportunità non si può rinunciare».
L’idea del titolo le è venuta per caso dal suo concittadino Paolo Conte, che molti anni fa cantava Messico e nuvole?
«No, mi è venuta leggendo una biografia di Proust. Ho scoperto che era appassionato di investimenti in Borsa e, fra altre azioni, aveva comprato molti titoli delle ferrovie messicane. Mi è apparsa all’improvviso l’idea di un titolo: Ferrovie del Messico. E mi ha conquistato. Il resto è venuto dopo».
Che cosa farebbe Cesco Magetti se si trovasse qui con lei a Guadalajara?
«Immagino che correrebbe a cercare la stazione più vicina, salterebbe sul primo treno e andrebbe in giro per il Messico a completare la cartina delle strade ferrate che gli hanno richiesto.».