É arrivata la condanna per quattro componenti della famiglia Casamonica, considerata dagli inquirenti un’organizzazione criminale. I Casamonica sono presenti a Roma e operano nell’area della Capitale, a Frosinone, nella zona dei Castelli Romani e nel litorale laziale. I giudici hanno previsto una pena di due anni di reclusione per tre donne e un uomo del nucleo familiare. L’accusa, per tutti, è di violenza e minacce nei confronti dei giornalisti che nel luglio 2018 stavano documentando gli arresti compiuti nell’operazione “Gramigna a Porta Furba”, che viene indicata come una delle roccaforti del clan. Le vittime dell’aggressione sono Floriana Bulfon de la Repubblica e Piergiorgio Giacovazzo del Tg2. La procura aveva, invece, sollecitato per gli imputati un anno e sei mesi di carcere.
La vicenda
Durante l’arresto di appartenenti al clan dei Casamonica, il 17 luglio 2018, i due giornalisti vennero aggrediti con lancio di bastoni e minacce. Alcuni appartenenti alla famiglia Casamonica cercarono di costringere i cronisti a “desistere dall’effettuare videoriprese”. In particolare, i cameramen furono aggrediti, con telecamere strappate di mano, mentre altri lanciarono alcune mazze di legno verso la troupe. Per questo motivo è scattata la condanna. Oltre al reato penale, il tribunale monocratico di Roma ha disposto l’immediata liquidazione dei danni alle parti civili. Insieme ai giornalisti vittime di aggressione si sono costuiti parte civile anche l’Fnsi e la Rai. A rappresentarli in aula è l’avvocato Giulio Vasaturo.
La posizione del legale dei giornalisti
“Il giudice ha ritenuto la condotta particolarmente lesiva del servizio informativo garantito dalla Rai – ha osservato Vasaturo – la sentenza ribadisce che non vi sono zone pubbliche precluse ai giornalisti, i quali rimangono un provvidenziale presidio di democrazia nel nostro Paese”. Lo stesso concetto fu espresso il 30 giugno scorso nel corso di un’udienza in aula quando c’era stata una discussione tra il giudice Valerio De Gioia e uno dei legali degli imputati. Quest’ultimo aveva considerato imprudente il gesto dei giornalisti di avvicinarsi con le telecamere nei pressi dell’abitazione dei Casamonica, un’area di proprietà privata. Il giudice aveva interrotto l’arringa dell’avvocato sottolinerando che i convenuti si troavavano in un’aula di un tribunale e che, pertanto, non si poteva tollerare l’idea che esistessero spazi pubblici inaccessibili per la stampa.