Ora sembra quasi poterla immaginare, la scena del delitto. In una strada chiusa e lontana da tutto per chilometri, in un dirupo profondo 50 metri, sotto i sacchi neri usati per nascondere l’orrore c’era Giulia, vestita come quel sabato sera al centro commerciale ma ormai senza vita. Un cardigan e un giubbotto neri, una gonna color senape e una t-shirt bianca. Ma intorno una babele tutta da interpretare: tra foglie e sterpaglie un mocassino sinistro nero, fazzoletti macchiati di sangue e il rotolo dei sacchi di plastica. E poi un libro per bambini, che in questa storia assume un titolo enigmatico e inquietante: «Anche i mostri si lavano i denti». Forse la 22enne, che sognava di fare l’illustratrice, aveva acquistato il libro poco prima a Marghera. Era un testo destinato a bambini di età superiore ai tre anni, è vero, ma forse l’aveva preso per ispirarsi. D’altronde aveva deciso di perfezionare il suo talento nel disegno alla Scuola di grafica di Reggio Emilia, proprio dopo la laurea prevista cinque giorni dopo. O magari era solo un regalo. Nessuno può saperlo, se non Filippo Turetta. Il «mostro», però, Giulia Cecchettin l’ha trovato quella sera nell’ex fidanzato del quale aveva paura e che voleva allontanare definitivamente da tempo.
Il suo assassino ha trascorso le prime due notti nel carcere di Verona, dopo essere stato estradato in Italia dalla Germania a due settimane dal femminicidio. Dopo il colloquio di sostegno con uno psichiatra e il primo incontro col suo legale Giovanni Caruso, Turetta ha incontrato un cappellano ed è stato collocato nel reparto infermeria dove dovrà rimanere per qualche giorno, sottoposto alle valutazioni psicologiche e psichiatriche prima di essere trasferito nella sezione «protetti», quella per i detenuti per reati a «forte riprovazione sociale» che, a loro stessa tutela, non devono avere contatti con altre persone. Al momento, però, il giovane si trova in una cella assieme a un altro detenuto, anche lui in carcere per reati molto gravi e dello stesso genere.
È sorvegliato a vista dagli agenti di polizia penitenziaria, anche di notte, per evitare gesti autolesionistici e non potrà vedere i suoi genitori prima dell’interrogatorio, previsto domani. Saranno il gip di Venezia Benedetta Vitolo e il pm Andrea Petroni a cercare dall’imputato le risposte che ancora mancano, le più attese anche per ricostruire le potenziali aggravanti dell’assassinio. Un focus potrebbe essere riservato agli oggetti: ci sono il «nastro adesivo argentato» per tapparle la bocca, i sacchi neri per l’immondizia con cui ha coperto il corpo nel dirupo di Piancavallo, i due coltelli da cucina ritenuti le armi del delitto. E ancora, le ricerche su percorsi di montagna, kit di sopravvivenza – elementi che conducono direttamente all’ipotesi della premeditazione. Potrebbe essergli contestato l’occultamento di cadavere, ma anche le aggravanti della crudeltà, così come quella dei «motivi futili e abietti», come ha chiesto con veemenza il legale della famiglia Cecchettin, Nicodemo Gentile: «Turetta è un uomo senza empatia, che ha lucidamente eliminato la sua ex per punirla da quello che lui ha considerato un atto di insubordinazione subito».