«Non ci sono più camerieri – diceva qualche giorno fa il proprietario di un bar al suo amico -. Non si trovano e non c’è modo di trovarli». Questa conversazione mi ha sorpreso, visto che in Spagna, così come in Italia e ora anche in Portogallo e in Grecia, ci sono bar e caffetterie ad ogni angolo. Ho quindi ascoltato con attenzione, notando che non si riferivano ai dipendenti in generale, ma al personale specializzato e qualificato. Camerieri in grado di svolgere adeguatamente il loro lavoro in un momento storico in cui, in quella specie di parco a tema che è diventata la cara, vecchia e venerabile Europa, bar, caffè e ristoranti sono pieni zeppi.
Quella sorprendente conversazione ascoltata a Madrid mi ha portato a confrontare un po’ i miei ricordi con il presente, passando in rassegna posti che conoscevo e conosco; posti che frequento ancora perché ancora impiegano il personale che li rende accoglienti, e altri che ho smesso di frequentare perché, pur avendo lo stesso aspetto, i loro camerieri non hanno nulla a che vedere con quelli che apprezzavo un tempo. Perché un luogo aperto al pubblico – bar, caffè, ristorante, albergo – dipende sempre dal personale che lo anima.
La conclusione è stata triste: ci sono posti che rimangono piacevoli grazie a chi vi presta servizio, ma molti vanno alla deriva verso l’improvvisazione e la noncuranza. Quello che una volta era un mestiere serio svolto da professionisti – secondo me la Spagna aveva e ha tuttora, insieme all’Italia, i migliori camerieri del mondo – oggi è una questione di improvvisazione e sciatteria. Il cameriere da una vita, un veterano di entrambi i sessi che capisce i clienti e si muove tra loro con l’efficienza e il rispetto propri della sua dignitosa professione, è una specie in via di estinzione. Il suo posto è stato preso da lavoratori occasionali che non solo ignorano le regole di base, ma che sembrano – e sono – persone che stanno lì provvisoriamente, prima di passare a un altro posto e a un altro lavoro.
Per quanto riguarda il rispetto e l’attenzione dovuti al cliente, che paga il conto, ne conoscete tanti esempi quanto me: da quello che dà del tu a bruciapelo a nonni settuagenari, al maldestro di buona volontà, fino a quello che si comporta in modo sgradevole o maleducato. E non sempre è colpa loro, perché molti arrivano al lavoro senza alcuna formazione, per mancanza di alternative, e lo lasciano prima di aver imparato il mestiere. Recentemente, in presenza di amici a Napoli, mi sono trovato nell’imbarazzante situazione di dover aprire io una bottiglia di vino a tavola, perché il ragazzo che ci serviva, al suo primo giorno di lavoro, non sapeva usare bene il cavatappi.
Che cosa sta succedendo? Beh, non ci si improvvisa camerieri. Non molto tempo fa, un cameriere professionista poteva passare la vita a fare questo mestiere, mantenendo così la sua famiglia: ricordo l’imponente Antonio, con il suo portamento aristocratico, al caffè Mastia di Cartagena, o Domenico e Bruno, all’Angoletto di Roma. Ma ora le cose non sono più così, o lo sono sempre meno. Fare il cameriere è un lavoro molto duro, ingrato, con orari terribili, che richiede nervi saldi, buona vista, estrema educazione e conoscenze adeguate. Deve essere ben retribuito, naturalmente; ma accade che non lo sia più, o che lo sia sempre meno. I datori di lavoro preferiscono la manodopera a basso costo, giovani non qualificati di cui possono sbarazzarsi quando vogliono. E, d’altra parte, il personale giusto, vista la situazione, preferisce vivere alla giornata: stagione estiva per guadagnare qualche soldo, poi si vedrà. E così succede quello che succede. Ho smesso di frequentare ristoranti o caffè che prima adoravo perché ogni volta, di mese in mese e persino di settimana in settimana, trovo nuovi camerieri che, nonostante la loro buona volontà, non durano abbastanza per imparare il lavoro. La colpa è anche del cliente: non pretende quel che dovrebbe, né a volte è all’altezza di ciò che chiede, quando lo fa. In questa vecchia Europa, che si sta lentamente ma inesorabilmente sgretolando sotto le masse di turisti, la maleducazione e la volgarità sono contagiose e finiscono per andare in entrambe le direzioni. E poi c’è la questione delle mance, che sono lo stimolo e il premio dei camerieri. Ormai sono pochi i clienti che le lasciano e ci sono posti in cui non è permesso includerle nei pagamenti con carta. Chiedetevi perché.
È ovvio che il proprietario di un locale deve guadagnare, è per questo che l’ha aperto. Ma se vuole che il cliente sia soddisfatto e torni, non può pretendere di farlo pagando i suoi dipendenti una miseria. Se non è possibile guadagnarsi da vivere con questo lavoro, non ci saranno professionisti, ma solo occasionali che non soddisferanno nessuno e non trarranno benefici neppure per se stessi. E poiché la Spagna e alcuni altri Paesi, la cui industria nazionale è stata smantellata da tempo – o è in fase di smantellamento – da politici maldestri e irresponsabili, sembrano destinati a essere luoghi di servizio e di pascolo turistico, sarebbe bene che quei fanti in prima linea, camerieri e altri addetti all’ospitalità, che da tempo soffrono, potessero svolgere con dignità una professione da cui dipendono e dipenderanno in futuro tante famiglie.
traduzione a cura di Marco Zucchetti