Coperchi, chiavi, fischietti, un boato. «Per Giulia Cecchettin e per tutte queste donne non facciamo un minuto di silenzio ma bruciamo tutto» è l’urlo che ha chiuso la manifestazione contro la violenza sulle donne organizzata ieri mattina in largo Cairoli a Milano, proprio di fronte al Castello Sforzesco.
Oltre 30mila in piazza secondo gli organizzatori e ci sono stati anche alcuni malori tra la folla compressa in certi punti. Un attimo prima vengono letti dal palco uno a uno i nomi delle 107 vittime dall’inizio del 2023, le loro storie, i nomi dei colpevoli quando sono noti. Il sindaco Beppe Sala legge il 43esimo, quello di Giulia Tramontano uccisa a 29 anni a Senago, nell’hinterland milanese, dal compagno Alessandro Impagniatiello lo scorso 27 maggio. Era al settimo mese di gravidanza. «Il patriarcato uccide» è il titolo del presidio organizzato in primis da sinistra e associazioni femministe. «Sono qui per dire che, anche se qualcuno ironizza, il patriarcato esiste eccome, ne siamo tutti intrisi e io stesso lo sono afferma Sala -.
Quindi ci sarebbe da chiedere scusa e dire che da oggi in poi facciamo del nostro meglio per evitare atteggiamenti patriarcali». Si smarca dalla polemiche romane, Sala. Ripete più volte che «siamo purtroppo costretti a rilevare che anche la condizione femminile, pur con tutti i richiami e le manifestazioni, è peggiorata. Il 37% delle donne in Italia non ha un conto corrente e la differenza di stipendio tra uomo e donna è in media pari a 8mila euro all’anno».
Anche la politica – aggiunge – «deve sapere da che parte stare. Vedo degli atteggiamenti e delle strumentalizzazioni inaccettabili. Chi non arriva a comprendere non è in grado di rappresentare i cittadini».
Nessun intervento istituzionale o comizio dal palco e niente bandiere di partito. Letture di poesie e brani (anche la lettera inviata da Elena Cecchettin, la sorella di Giulia, al Corriere subito dopo la morte) e i nomi delle vittime, tra i lettori gli esponenti Pd Susanna Camusso, Silvia Roggiani, Pierfrancesco Majorino, Simona Malpezzi, la rettrice del Politecnico Donatella Sciuto, gli attori e compagni Francesca Barra e Claudio Santamaria che «da uomo – spiega – dico che bisogna parlare ad altri uomini, cominciando a partecipare alle iniziative, noi artisti siamo megafoni che possono amplificare messaggi come questo».
Tanti studenti e tantissimi uomini in piazza. Tra i cartelli («mi vergogno di essere uomo», «l’educazione di genere non è facoltativa», «educate i vostri figli») spunta quello con la scritta «We should all be feminists», dovremmo tutti essere femministi, alzato dall’influencer e imprenditrice chiara Ferragni. «Sono qui da cittadina e dovremmo esserci tutti in questa piazza oggi dice -, è un dovere. Mi sono commossa, penso tutti quanti» alla lettura dei nomi. Sui social sotto la foto col cartello, aggiunge «oggi ed ogni ca… di giorno» e pubblica il numero anti violenza e anti stalking «1522» attivo h24.
Sempre al Castello, poi, nel pomeriggio, è andata in scena la solita manifestazione «pro Palestina», anzi anti-Israele, con i soliti collettivi e i Giovani Palestinesi. Nel corso del sit-in, una giovane donna, con il volto coperto dalla kefiah, ha irriso le donne israeliane liberate due giorni fa. «Ma li avete visti i prigionieri? – ha chiesto – Sembrava avessero liberato una casa di riposo. Però tanto di cappello che sono riuscite a mantenerle in salute. Ragazzi non è semplice mantenere in vita un novantenne». E poi rivolta ancora a Israele: «Qui siamo a livello di malattie mentali. Gli israeliani sono malati, dovrebbero essere tutti in manicomio».