Vittorio Ghidella, l’ingegnere dei miracoli di Fiat

Vittorio Ghidella, l'ingegnere dei miracoli di Fiat

Quando in Fiat fu valorizzato l’estro e la genialità dell’ingegner Vittorio Ghidella, il costruttore torinese divenne il primo in Europa e il quinto a livello mondiale. Un’epoca dell’oro che non sarebbe mai più ritornata. Il manager agli ordini della famiglia Agnelli conosceva il prodotto, sapeva sviluppare le auto in prima persona e riusciva a comprendere il polso del mercato. Ebbe il merito, prima di altri, di riconoscere il valore dell’economia di scala e della sinergia tra più marchi all’interno della stessa galassia. Sotto la sua spinta, i brand italiani dominavano la scena, ognuno nella rispettiva categoria di riferimento. Dopo di lui, il vuoto. Quando Ghidella fu messo alla porta, per lasciare la barca in mano a Cesare Romiti, coadiuvato dal patron Agnelli, la Fiat non seppe proseguire nell’innovazione e ritornò al punto di partenza. Sabbie mobili dal sapore di crisi.

I primi passi

Vittorio Ghidella e la Fiat sono due strade che si incontrano quando il nativo di Vercelli è ancora giovane, precisamente dopo aver conseguito – con il massimo dei voti – la laurea in ingegneria meccanica al Politecnico di Torino. Dapprima gli viene affibbiato il ruolo di tecnico cronometrista, poi entra alla RIV-SKF, azienda produttrice di cuscinetti a sfere, e infine viene inserito nella direzione della Fiat-Allis, azienda di mezzi agricoli, con in mano un biglietto di sola andata per gli Stati Uniti e il compito di organizzare il lavoro, oltre a stipulare accordi. La parentesi al di là dell’Oceano dura poco, come il battito di ali di una farfalla, perché a casa c’è bisogno di lui.

Ghidella
Pietro Lardi, Gianni Angelli, Edoardo Agnelli e Vittorio Ghidella

A Mirafiori tira un’aria pesante, così nel 1978, Gianni Agnelli lo premia con un ruolo dirigenziale nella Fiat Auto. All’apparenza più che un onore sembra un onere, perché bisogna rilanciare un ramo automobilistico secco. La pianta sta appassendo e, anche se la crisi petrolifera è alle spalle, i problemi sono una vasta moltitudine. Plichi di lavori da non dormirci la notte. In più, a Torino come nel resto d’Italia, la morsa del terrorismo e gli scioperi di massa sono dei pensieri costanti. Dopo un anno di apprendistato, al fianco del responsabile del settore automobili Nicola Tufarelli, nel gennaio del 1979 inizia l’era Ghidella.

L’era Ghidella, focus sul prodotto

Nel 1980 la capitale italiana dell’auto viene scossa da un terremoto: il sindacato degli operai organizza un picchettaggio violento, che impedisce l’ingresso in fabbrica per 35 giorni. La Fiat è sotto assedio: bloccata e congelata, con le catene di montaggio che spengono le luci per troppo tempo. La prima reazione è quella che è passata alla storia come la marcia dei 40mila quadri, che sfilano per le strade di Torino ordinati ma furiosi. Sfruttando questa reazione, Ghidella firma con il sindacato un accordo vantaggioso per il costruttore automobilistico, che può finalmente tornare a operare.

Vittorio Ghidella

Al di là della gestione della crisi, Ghidella si fa notare negli anni Ottanta per la sua vivacità e per delle intuizioni di prodotto davvero notevoli. Per rilanciare le vetture del Gruppo Fiat servono modelli moderni, solidi e ben fatti. Gli investimenti sono stanziosi, ma danno linfa vitale alla rinvigorita industria italiana. Sono gli anni della Fiat Uno, un’utilitaria all’avanguardia, frizzante e innovativa, che viene presentata a Cape Canaveral, sede della Nasa, per planare sul mercato e infine conquistare oltre 5 milioni di persone nel corso della sua gloriosa carriera. Una vettura che è piaciuta in tutti i continenti nei quali è stata importata. È anche l’epoca del famoso pianale “Tipo 4”, il vero fiore all’occhiello dell’era Ghidella, che serve per dare forma alle varie Fiat Croma, Lancia Thema, Saab 9000 (grazie a una fruttuosa joint-venture) e, successivamente, Alfa Romeo 164. Tutte quante diventano le ammiraglie di rappresentanza di una nazione rampante. L’Italia che conta, si sposta su queste auto.

Lancia Thema, guarda la gallery 34

Le imprese sportive restano impresse nella memoria. Non sono soltanto un veicolo per una vana gloria, ma un volano per conquistare delle sempre più ingenti fette di mercato. Per questo motivo, Vittoria Ghidella approva l’idea di finanziare il motorsport, in particolar modo il gruppo comandato da Cesare Fiorio: la squadra corse Lancia. Durante gli anni Ottanta la Lancia diventa la regina dei rally, conquistando una serie infinita di mondiali rally, prima con la 037 e poi con la Delta, che diventerà a sua volta la regina incontrastata di questa disciplina. Il marchio torinese arriva in cima al mondo e nelle concessionarie c’è la fila di acquirenti.

Lancia Delta
1988 World Rally Championship. Portuguese Rally, Portogallo. 1-6 Marzo 1988; Miki Biasion/Carlo Cassina

Un uomo di campo

Vittorio Ghidella testa le “sue auto” in prima persona. Quante volte viene immortalato fuori dai cancelli di Mirafiori con qualche prototipo, camufatto con fili e nylon, talvolta anche spingendo una carcassa di metallo capricciosa a mano. “L’auto si guida con il fondoschiena, non con la lingua“, diceva. L’ingegnere aveva un percorso prediletto: Livorno – Collesalvetti – Pinerolo – Cavour. Su questa strada testò la Fiat Uno, prima che diventasse l’Auto dell’Anno 1984.

Sul finire del 1987, tra lui e Cesare Romiti, amministratore delegato in carica, si innescherà un braccio di ferro dove sarà quest’ultimo a uscirne vincitore. Peseranno delle scelte politiche, delle frizioni e delle tensioni nate sulla spinta della nascita di una nuova utilitaria, chiesta da Umberto Agnelli direttamente a Ghidella saltando l’ordine gerarchico. Vittorio si dimetterà a luglio 1988, con in tasca un accordo con Ford che lo stesso ingegnere di Vercelli avrebbe voluto far siglare alla Fiat, per un’unione che avrebbe – forse – cambiato le sorti dell’intera filiera italiana delle quattro ruote.

Dopo l’avventura al Lingotto trascorrerà il resto della sua vita a Lugano in Svizzera, morendo nel 2011. La sua visione industriale rese grande l’auto italiana in un momento storico difficile e per questo, ancora oggi, una figura come la sua viene rimpianta sommessamente.

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