“Vi spiego come salvarsi dalla violenza contro le donne”

Il cellulare, il sangue, la borsa: quello che Filippo deve spiegare ai giudici

“La violenza fisica, che talvolta può avere un epilogo tragico, come abbiamo visto nel caso di Giulia Cecchettin, precede sempre quella psicologica. Ed è il motivo per cui è fondamentale che le donne imparino a riconoscere i campanelli d’allarme, quale l’esercizio di controllo da parte del compagno maltrattante, e a parlarne con una figura di riferimento. È l’unico modo per salvarsi”. Lo dice a il giornale.it Virginia Ciaravolo, psicoterapeuta e criminologa di comprovata esperienza nonché presidente dell’associazione “Mai più violenza infinita” che si occupa di reati contro le donne e i minori.

Dall’inizio del 2023 fino ad oggi sono state uccise 106 donne, di cui oltre la metà da un ex partner o coniuge maltrattante. Come nel caso di Giulia Cecchettin, la 22enne di Vigonovo uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta, e Rita Talamelli, la 66enne di Fano strangolata dal marito Angelo Sfuggiti. “Stiamo vivendo una situazione di estrema emergenza perché, come dimostrano i dati sui femminicidi, le donne continuano a morire per mano di mariti o ex partner. Bisogna assolutamente fermare questa scia di dolore e morte”, precisa l’esperta.

Dottoressa Ciaravolo, l’omicidio di Giulia Cecchettin coinvolge due giovani adulti. Possiamo dire che la violenza di genere è un fenomeno trasversale?

“La violenza di genere colpisce tutte le fasce di età in modo trasversale, ad ogni latitudine e contesto socioculturale. Ed è il motivo per il quale parliamo di un fenomeno molto complesso. È indubbio che poi, a seconda degli anni di vittima e maltrattante, la violenza si esplicita con forme e caratteristiche diverse. Per esempio, rispetto alla denuncia, noi esperti del settore abbiamo notato che molto spesso sono le donne più adulte a denunciare rispetto a quelle giovani. Ma bisogna assolutamente ribadire che la violenza di genere può coinvolgere anche ragazzi giovani, come dimostra l’omicidio di Giulia Cecchettin, e questo dato non deve essere affatto sottovalutato”.

La “radice del male” è la cultura patriarcale?

“Bisogna analizzare il fenomeno a 360 gradi. Certamente rimane di fondo il concetto di pensiero patriarcale, che ormai si perpetua da secoli. Ne abbiamo avuto la conferma con alcune dichiarazioni rilasciate dal papà di Filippo Turetta che, seppur indubbiamente provato dalla tragedia, ha teso a minimizzare gli atteggiamenti del figlio nei confronti di Giulia. Mi riferisco al fatto che, stando a quanto emerso in questi giorni, il ragazzo avrebbe cercato ossessivamente la ex fidanzata. Il papà ha dichiarato di aver pensato che quei comportamenti fossero ‘normali’ per un giovane rifiutato dalla ragazza della quale diceva di essere innamorato. E invece quella era una violenza psicologica, un modo disfunzionale di approcciare alla relazione che purtroppo hanno molti uomini”.

Quindi la colpa è degli uomini?

“La colpa non è di tutti gli uomini ma di quel pensiero che considera la donna un’appendice, un oggetto. La responsabilità non è degli uomini in generale ma di alcuni di essi che perpetuano un pensiero arcaico, misogino, distorto e primitivo per cui la donna non è altro che un oggetto di cui disporre in base alle proprie esigenze”.

I modelli educativi proposti dai genitori in che misura incidono?

“Incidono eccome! Perché se noi genitori proponiamo modelli educativi dove il femminile è visto come oggetto, di certo i nostri ragazzi, in età adulta, approcceranno in modo disfunzionale all’altro sesso. Ma attenzione: ricordiamoci che i figli non vivono 24 ore su 24 dentro casa e dunque non possiamo puntare il dito contro le famiglie. Gli stereotipi di genere sono dappertutto, fanno parte della nostra società a diversi livelli. Guardi un po’cosa è successo con il caso di Giulia Cecchettin, si sono creati subito degli schieramenti, come se la responsabilità della vicenda fosse imputabile a una specifica categoria sociale o di genere. Ma non possiamo continuare a ragionare per comparti stagni, non se vogliamo approcciare in modo costruttivo e risolutivo al fenomeno della violenza sulle donne”.

Quali sono i campanelli d’allarme di una relazione sentimentale disfunzionale?

“Senza dubbio il controllo, che è una forma di violenza sottile e subdola. Non lascia segni evidenti, come accade per la violenza fisica, ma è annichilente. È un vortice lento in cui la vittima finisce per essere risucchiata”.

E dunque come si esce dal vortice della violenza?

“La chiave di soluzione del fenomeno sta nella prevenzione e informazione, dove evidentemente ci sono ancora delle falle. Lo abbiamo visto proprio con l’omicidio di Giulia. Lei aveva raccontato alle amiche – ci sono i vocali che lo confermano – che Filippo Turetta era diventato una presenza eccessivamente ingombrante. Ma nessuno ha interpretato quelle sue esternazioni come un segnale di allerta, di rischio concreto. Ciò significa che i nostri sforzi si devono quintuplicare perché se non riusciamo a far capire ad una donna giovane e acculturata, quale era Giulia, che stava subendo vero e proprio stalking dall’ex fidanzato, è grave. Vuol dire che da qualche parte stiamo sbagliando e dobbiamo raddrizzare il tiro il prima possibile”.

E alle donne che si trovano in una situazione di rischio cosa suggerisce?

“Di denunciare senza ‘se’ e senza ‘ma’. E se non trovano il coraggio di denunciare subito, di confidarsi con le amiche, i genitori o altre figure di riferimento. Bisogna parlarne, bussare alla porta di un centro antiviolenza, anche solo per chiedere anche solo informazioni. Non scatta l’obbligo di denuncia in automatico quando si chiede aiuto, ma può essere salvifico in molti casi. Alle donne dico: non tacete, non abbiate paura. L’unione fa la forza”.

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