Era un eroe, è diventato un mostro. Ha fatto la storia dello sport, partecipando alle Olimpiadi di Londra del 2012 nonostante le due protesi alle gambe per quella malformazione che ha portato l’amputazione di entrambi gli arti. Un simbolo di tenacia, un modello di coraggio, una storia di forza che andava oltre all’atletica e allo sport. Tutto cancellato, quando il giorno di san Valentino del 2013 ha ucciso a colpi di pistola l’allora fidanzata, la modella Reeva Steenkamp. Ma nonostante una condanna 13 anni e 6 mesi, che già aveva fatto storcere il naso a molti per l’eccessiva leggerezza, il 5 gennaio, dopo nemmeno 10 anni di carcere, l’ex atleta olimpico e paralimpico sudafricano Oscar Pistorius sarà scarcerato. Libertà vigilata, fino al termine della condanna.
«Non si è riabilitato», il primo commento furioso della madre della vittima. «La riabilitazione richiede che qualcuno si impegni onestamente, con la piena verità del suo crimine e delle sue conseguenze. Nessuno può affermare di avere rimorsi se non è in grado di affrontare pienamente la verità», ha aggiunto la donna. Non è certo una consolazione per i familiari della donna che Pistorius dovrà anche sottoporsi a una terapia per la rabbia, contro la violenza sulle donne e un servizio sociale. E sono in molti, non solo in Sudafrica, ad aver reagito con rabbia per una decisione, così come la sentenza, che sembra troppo su misura di una personalità pubblica che fa pesare il suo privilegio dinanzi alla corte, soprattutto in un momento storico in cui il femminicidio è drammaticamente d’attualità. Ma i giudici ritengono che abbia scontato una pena sufficiente, tenuto buona condotta e manifestato pentimento, sebbene non abbia mai ammesso di avere ucciso deliberatamente l’allora compagna.
Anche il processo a suo carico fu accompagnato da feroci polemiche. Oscar l’eroe e Reeva la splendida modella erano una coppia da copertina. Fino a quel 14 febbraio del 2013. Erano fidanzati da poco, e casa di lui la donna si era chiusa a chiave nel bagno. Dove è stata ritrovata in un lago di sangue, raggiunta da quattro colpi di pistola sparati da Pistorius attraverso la porta. Un assassinio brutale al culmine di un litigio, l’ennesima a causa della gelosia di lui, secondo l’accusa. Mentre la linea difensiva dell’atleta è sempre stata la stessa: «Un errore, credevo di sparare a un ladro che era entrato in casa». Nessuno gli ha creduto per davvero, specie la famiglia di Reeva che aveva più volte raccontato come la ragazza non ne potesse più della sua gelosia e intendeva lasciarlo. Ma grazie anche agli avvocati più famosi e costosi del Paese e a un tribunale che ha creduto alla versione della «tragica fatalità», la condanna non fu particolarmente pesante. E ieri i giudici della commissione per la libertà condizionata del Sud Africa, hanno deciso che può bastare così.
Soprannominato «Blade Runner», per le sue protesi con cui correva velocissimo, è stato campione paralimpico nei 200 metri nel 2004 e nei 100, 200 e 400 metri nel 2008, detentore del record mondiale in tutte e tre le categorie. Fino all’apotesoi sportiva dei Giochi Olimpici del 2012 a Londra, in cui è arrivato alla semifinale dei 400 metri, primo atleta amputato a riuscirci, dopo aver vinto anche l’argento ai Mondiali del 2011, Manco a dirlo, primo atleta paralimpico di sempre a vincere una medaglia tra i normodotati. Adesso, a 37 anni, avrà tutto il tempo di rifarsi una vita. Ma al diavolo l’etichetta di eroe. Almeno quello.