Nexit: un neologismo pronto a descrivere il nuovo grande incubo dell’Europa post-Brexit. Dopo la defezione britannica, i risultati delle elezioni olandesi della scorsa notte, che hanno incoronato Geert Wilders, sembrano riproporre lo spauracchio dell’Europa che si sgretola al vento dell’euroscetticismo. Le paure che si fanno strada, serpeggianti, nell’Unione sono tutte legate al curriculum del “Mozart” olandese, tanto che il candidato europeista Frans Timmermans aveva chiesto agli olandesi indecisi di andare a votare soprattutto per arginarne l’ascesa.
La posizione complessa di Wilders e il rischio Nexit
Wilders si dichiara antifascista, filosemita, antislamista e anticomunista. Il leader del Pvv è stato a lungo un punto fermo della politica olandese, e da mesi vive scortato dalle guardie del corpo che il governo gli ha fornito dopo aver ricevuto minacce di morte per la sua campagna per la messa al bando del Corano. Sulla politica estera la sua posizione è alquanto complessa: contrario all’invio di armi all’Ucraina e fortemente filoisraeliano, nel programma elettorale del Pvv ha portato diverse sue battaglie: tagli alle sovvenzioni per la cultura, alla cooperazione allo sviluppo, ma soprattutto ai fondi destinati all’Ue.
A mettere le mani avanti, il portavoce della Commissione europea, Eric Mamer, rispondendo a una domanda sui timori di una possibile Nexit: “I Paesi Bassi sono un membro fondatore dell’Unione europea” e “continuiamo ovviamente a contare sulla forte partecipazione dei Paesi Bassi all’Unione europea“. Poi, una sorta di ammonimento: “Le elezioni si svolgono a intervalli regolari negli Stati membri e questo di per sé non mette in alcun modo in dubbio l’appartenenza di qualsiasi paese all’Ue“, ha sottolineato Mamer.
Wilders verso un profilo istituzionale?
Ma quanto è reale il timore Nexit nel futuro politico di Wilders? I commentatori politici, dentro e fuori dall’Olanda, hanno notato come la retorica anti islam sia stata riveduta e corretta più volte nelle ultime settimane, smussando i suoi lati più rudi in un Paese che ha sempre vantato un sostrato multietnico. Questo anche per via della paventata ipotesi di dover trattare con Dilan Yesilgoz, la numero tre sul podio, con la quale aveva concordato che ci fossero altre priorità nell’immediato che la messa al bando delle moschee. Tanto che, nella lunga notte elettorale, ha nuovamente ribadito di non essere lì per parlare di “Moschee, Corano e scuole islamiche”. Ma l’idiosincrasia tra Wilders e Bruxelles non sembra conoscere tregua.
Una volta al potere è abbastanza probabile che il leader olandese si “istituzionalizzi”, limando gli aspetti più complessi del suo antieuropeismo: questo potrebbe causare una rinuncia al fantomatico referendum per l’uscita dall’Unione, ma lascerebbe comunque scoperti una serie di nervi che passano per la politica estera e umanitaria dell’Unione. Del resto non va dimenticato che, al di là di Wilders, l’Olanda è e resta uno dei “frugali“. La scelta di Wilders, tuttavia, ha mosso soprattutto i cittadini su temi etici come immigrazione e asilo, uno “tsunami” come definito dallo stesso candidato, che può decidere l’affezione europea o meno. Nel futuro immediato dell’Unione, le elezioni europee, il grande elefante nella stanza.
Il “premier di tutti” e il tramonto delle forze politiche tradizionali
Wilders avrebbe già dichiarato di voler essere “il premier di tutti“, avendo come priorità quella di introdurre “restrizioni significative all’asilo ed all’immigrazione“. Lo ha detto lo stesso leader del Pvv in una conferenza stampa oggi. Ma Wilders non è solo sintomo di vento sovranista, ma anche il risultato di un mutamento all’interno della politica tradizionale, un terremoto che sta investendo tutta l’Europa da almeno quindici anni e che cova il disamore per l’Europa.
Con 37 seggi in Parlamento su 150, la vittoria alle legislative anticipate dell’estrema destra del Partito per la libertà (Pvv) rappresenta un primo passo verso la premiership di Wilders. I Paesi Bassi si sono risvegliati con un paesaggio politico sconvolto dal verdetto delle urne, seppur preannunciato dagli ultimi sondaggi, al termine di una campagna elettorale molto breve e turbolenta. Wilders ha già dato il via a serrate trattative con potenziali alleati per riuscire a formare una coalizione di governo. A questo punto, si apre una nuova era politica caratterizzata dal tramonto delle forze politiche tradizionali, in primis del Partito popolare per la libertà e la democrazia (Vvd), che ha governato per 13 anni, e aveva candidato una donna, l’unica in lizza, Dilan Yesilgoz.
A segnare punti, a sorpresa, ma neanche più di tanto, sono stati partiti relativamente nuovi, che hanno saputo rispondere al malcontento e alle paure degli olandesi, desiderosi di cambiamento e garanzie. Oltre allo storico Partito per la libertà – populista, xenofobo e anti-Islam – c’è quello del Nuovo Contratto Sociale, fondato da Pieter Omtzigt lo scorso agosto, che alla sua prima partecipazione ha ottenuto ben 20 seggi. L’altra formazione degna di nota è il Movimento agricoltore contadino (Bbb) di Caroline van der Plas, anche lei a favore di una linea restrittiva sull’immigrazione, anche se ha conquistato solo sette seggi, un risultato deludente rispetto alle elezioni provinciali dello scorso marzo. Sia Omtzigt che Van der Plas hanno già segnalato la loro disponibilità ad entrare in una coalizione di governo capitanata da Wilders.