La Bce non lo ammetterà mai, ma il rapporto sulla stabilità finanziaria pubblicato ieri dalla stessa banca centrale, è un impeccabile compendio dello sfacelo provocato dalla furia iconoclasta con cui ha alzato i tassi. Qua e là, nelle pagine del rapporto, si possono infatti cogliere uno a uno i fiori del male germinati dal seme avvelenato di una politica monetaria mai così restrittiva. L`ammissione di colpa non c`è, pur essendo implicita nel passaggio in cui – dopo aver per mesi cocciutamente negato l`evidenza – si riconosce che «la recessione resta uno scenario possibile» alla luce dei «numerosi tagli alle stime» e delle sorprese economiche negative che «confermano un quadro debole con consistenti rischi al ribasso».
In realtà non vi è nulla di sorprendente, poiché ad alimentare il deterioramento congiunturale sono stati in gran parte, e al netto delle tensioni geopolitiche, proprio gli inasprimenti decisi a Francoforte a partire dal luglio `22 per complessivi 450 punti base.
Come direbbe Neil Young, “damage is done”, anche se la conta dei danni è purtroppo ancora provvisoria. Non a caso, l`Eurotower non nasconde che «deve ancora materializzarsi» appieno sull`attività economica il surriscaldamento dei tassi. Ciò significa altro dolore per famiglie, imprese e governi, la cui resilienza è «sempre più messa alla prova» dal moto ascensionale dei prestiti e del servizio del debito. Come un imputato che chiede le attenuanti generiche, la Bce di Christine Lagarde (nella foto) punta però il dito contro i ritardi nel negoziato sulla riforma del Patto di stabilità che determinano una «situazione di incertezza» tale da portare «probabilmente a ulteriori aumenti dei rendimenti e degli spread dei titoli di Stato, soprattutto per i Paesi che potrebbero non rispettare il Patto e trovarsi ad affrontare procedure di disavanzo eccessivo». Par insomma di capire che non sono stati né i giri di vite al costo del denaro, né la rottamazione dei piani di acquisto dei titoli sovrani e neppure l`implementazione di uno scudo anti-spread farlocco ad aver provocato tensioni sul fronte dei differenziali di rendimento, ma la mancata ratifica di un qualsivoglia obbrobrio riformatore delle «sacre» regole di bilancio. Anche di quelle che avrebbero imposto così tanti vincoli da risultare come un cappio al collo per l`Italia.
In realtà, a causa della sua tetragona ossessione per l`inflazione, la Bce ha finito per sbagliare i conti, facendo affidamento sulla tenuta stagna della Germania. Berlino è invece una Bismark che fa acqua da tutte le parti, perculata perfino da Bloomberg che con uno schizzetto acido osservava ieri come «il primo ministro italiano Giorgia Meloni potrebbe essere perdonato per aver provato un po` di schadenfreude questa settimana mentre osservava la débâcle di bilancio tedesca” in seguito al congelamento di quasi tutte le spese previste. Il gusto un po` sadico di provar piacere per le disgrazie altrui lo lasciamo però ai tedeschi, che ne hanno il copyright. Anche se loro sono in recessione e noi no; anche se il governo «arcobaleno» è tenuto assieme con lo scotch e il nostro gode di buona salute; anche se il rating tricolore non ha incassato una sola bocciatura da tutte le agenzie e così lo spread ha subito abbassato la cresta; anche se la nostra finanziaria – così «unfit» per molti – è stata promossa con riserve come quella tedesca.
E anche se noi italiani, cazzoni inaffidabili, non siano ancora stati colti con le mani nella marmellata dalla nostra Corte suprema per aver taroccato i bilanci. «L`Italia è ancora come la lasciai, ancora polvere sulle strade, ancora truffe al forestiero». Se fosse ancora vivo, forse Goethe volgerebbe altrove lo sguardo per identico giudizio.