Con 34mila nuovi decessi all’anno, in Italia il tumore al polmone rappresenta la più frequente causa di morte oncologica. Dati alla mano, nel 40% dei casi la malattia viene diagnosticata solo in fase metastatica (stadio IV) con una sopravvivenza a 5 anni inferiore al 10%. Non si deve dimenticare anche l’impatto a livello socioeconomico della patologia. Infatti il 27% dei pazienti interrompe definitivamente la propria attività lavorativa e nel 68% dei casi è necessario il supporto di un caregiver per cure e visite in ospedale.
Questa triste fotografia ci fa capire quanto sia importante anticipare la diagnosi per cambiare in positivo la prognosi e l’evoluzione del tumore al polmone. A tal proposito lo screening è una delle risorse più preziose. Da anni nel nostro Paese sono attivi programmi di prevenzione promossi dal Servizio Sanitario Nazionale e Regionale rivolti alle fasce di popolazione maggiormente a rischio. Diversa è la situazione per il carcinoma polmonare per il quale, come vedremo in questo articolo, sussistono ancora significative barriere.
I sintomi del tumore al polmone
Innanzitutto è bene specificare che esistono due tipologie di tumore al polmone: il cancro a piccole cellule e quello non a piccole cellule. Il primo è tipico dei fumatori e si sviluppa nei bronchi di diametro maggiore. Ha la capacità di metastatizzare in maniera molto rapida. Il secondo, invece, si suddivide in adenocarcinoma, carcinoma spinocellulare e carcinoma a grandi cellule. L’adenocarcinoma, in particolare, è più frequente tra i non fumatori ed è associato alla presenza di cicatrici polmonari.
Il tumore al polmone è subdolo poiché nelle fasi iniziali è asintomatico. La sintomatologia inizia a comparire in una fase più avanzata e ciò spiega il frequente ritardo della diagnosi. Tra le manifestazioni tipiche rientrano la tosse persistente che peggiora nel tempo, il respiro corto e il dolore al petto che si intensifica con i colpi di tosse. Attenzione anche alla raucedine, alla presenza di sangue nel catarro, alla perdita di peso immotivata, alla stanchezza e alla predisposizione a sviluppare bronchiti e polmoniti.
Il tumore al polmone e i fumatori
Il più importante fattore di rischio per il tumore al polmone è il fumo di sigaretta sia attivo che passivo e responsabile, tra l’altro, dell’insorgenza di 8-9 neoplasie su 10. La probabilità di ammalarsi di cancro nei fumatori è 14 volte superiore rispetto ai non fumatori. Tale possibilità sale a ben 20 volte se, giornalmente, vengono consumate più di 20 sigarette.
Un’indagine condotta, ha evidenziato che il 19% degli italiani sono ex-fumatori, mentre il 25% della popolazione fuma. Di questi 7 su 10 convivono con condizioni croniche, principalmente problematiche cardiovascolari, metaboliche e respiratorie. Inoltre il 36% ha un approccio passivo nei confronti della propria salute.
Nonostante ciò, anche tra i forti fumatori c’è una quota non minoritaria (quasi il 50%) che è invece orientata alla prevenzione e alla cura di sé. E il 42% dichiara di sottoporsi a controlli preventivi, anche in assenza di sintomi.
Le barriere dello screening polmonare
Sebbene, dunque, da un lato esista una propensione che spinge i fumatori a pensare concretamente al proprio benessere, dall’altro non bisogna dimenticare che anche tra i soggetti più sensibili emergono significative barriere legate allo screening polmonare. A pesare, in primis, sono quelle di carattere psicologico ed emozionale derivanti dallo stigma esistente sulla malattia e sul fumo. Il tumore al polmone, infatti, è percepito come una forma cancerosa incurabile.
Un’altra limitazione è rappresentata dalla scarsa informazione sui programmi di screening. I partecipanti hanno affermato di non aver ricevuto indicazioni né da parte del proprio medico, né da parte dei media. Si teme, inoltre, che lo screening possa essere invasivo, doloroso e/o inutile.
Non meno importanti sono i limiti legati all’accesso. Gli intervistati hanno espresso preoccupazioni rispetto alle modalità di prenotazione e al rischio che le stesse possano richiedere troppo tempo, oppure essere complesse e costose. Infine è stata registrata una sfiducia nei confronti del Sistema Sanitario, in particolare una sua potenziale incapacità di garantire la giusta periodicità dei controlli, di rendere tempestivo il responso e di supportare attentamente il paziente e la sua famiglia in caso di diagnosi.
Prospettive future
Alla luce della realtà emersa, l’indagine ha identificato alcuni driver che potrebbero favorire lo screening polmonare in Italia. Innanzitutto è fondamentale realizzare una campagna di comunicazione sociale e di informazione caratterizzata da messaggi costruttivi e non stigmatizzanti. Essa non deve concentrarsi solo sui rischi del fumo, ma è altresì opportuno che ponga in risalto i benefici dello screening in termini di diagnosi e trattamento precoci.
Ma non basta. Bisogna agire sulle barriere legate all’accesso e quindi fornire indicazioni chiare e precise sui percorsi e sulle modalità di prenotazione ed effettuazione dell’esame, sulle sue caratteristiche non invasive e sulla sua gratuità. Questa prospettiva è condivisa a trecentosessanta gradi dalla comunità scientifica, dalle associazioni dei pazienti, dalle istituzioni e dall’industria farmaceutica.
Silvia Novello, Professoressa ordinaria di Oncologia Medica dell’Università di Torino e Presidente di WALCE Onlus, ha affermato: «WALCE da più di 15 anni si occupa dei pazienti affetti dal tumore al polmone e conduce campagne di prevenzione primaria per tutte le fasce di popolazione. Sappiamo bene come i messaggi vadano veicolati nel modo giusto. L’obiettivo deve esser quello di garantire sempre un’informazione fruibile e chiara».
Ha così concluso Giulia Veronesi, Direttrice del Programma di Chirurgia Robotica Toracica presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele: «Sappiamo che il fumo è una dipendenza e quindi i fumatori devono essere aiutati senza colpevolizzazioni. Nel frattempo, ricorrere a controlli preventivi risulta di cruciale importanza al fine di intercettare eventuali problematiche in tempo. Il carcinoma polmonare, quando diagnosticato in fase precoce anche grazie allo screening, è infatti curabile con un approccio prevalentemente chirurgico, ma anche farmacologico. I tassi di sopravvivenza a 5 anni si aggirano attorno all’80%».
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