Il Papa smonta le balle russe

A Leone XIV bastano cinque secondi davanti alle telecamere per ricordare (anche a tanti vescovi) che “la Nato non ha cominciato nessuna guerra”. È un capovolgimento totale della linea del suo predecessore Francesco, secondo cui “l’abbaiare della Nato alla porta della Russia” aveva indotto Putin a “reagire male”

Osservazione del giornalista: “Il Cremlino dice che la Nato è in guerra con la Russia”. Risposta del Papa: “La Nato non ha cominciato nessuna guerra. I polacchi sono preoccupati perché sentono che il loro spazio aereo è stato invaso. E’ una situazione molto tesa, molto difficile”. Era lunedì sera a Castel Gandolfo quando a Leone XIV, che si preparava a rientrare a Roma, è stata posta la domanda sulle ultime boutade russe. Il Pontefice è stato netto nell’offrire il suo punto di vista, accompagnando le parole a uno sguardo di compatimento per quanto espresso da Mosca. E’ un capovolgimento totale della linea del pontificato precedente, quando Francesco arrivò a dire che forse “l’abbaiare della Nato alla porta della Russia” aveva indotto Vladimir Putin a “reagire male”: “Un’ira che non so dire se sia stata provocata, ma facilitata forse sì”. Jorge Mario Bergoglio, che aveva un pregiudizio verso tutto ciò che si rifacesse in qualche modo all’egemonia americana (economica e militare), come ammise il suo mentore, padre Juan Carlos Scannone S.I., sposava così la linea preponderante tra chi a parole condannava l’invasione ordinata da Putin ma poi trovava mille e più spunti per giustificarla implicitamente. A tutti quelli che, e non sono pochi, usano la parola “genocidio” come intercalare scontato quando si parla della tragedia che vivono le popolazioni palestinesi nella Striscia di Gaza ma poi si esercitano in esercizi di scombiccherata retorica geopolitica per spiegare che è vero che l’Ucraina è stata invasa, ma insomma: ci sono state provocazioni dall’altra parte, Zelensky è un comico o – peggio –, un mezzo criminale, l’Ucraina era in realtà mezza asburgica, gli accordi degli anni Novanta prevedevano questo e quello, cavillando perfino su lasciti e disposizioni di Caterina la Grande, Kruscev, eccetera. Si pensi al benaltrismo del presidente di Pax Christi, il sempre loquace vescovo emerito di Altamura mons. Giovanni Ricchiuti, a giudizio del quale: “La condanna all’aggressione operata da Putin è totale. Ma non possiamo con questo dimenticare, o peggio ancora assolvere, la Nato (di cui l’Italia fa parte) dalle sue gravi responsabilità”. Oppure dell’attuale vescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, il movimentista Franco Moscone, che più iranianamente che irenicamente vede negli Stati Uniti l’incarnazione del Grande Satana: “Dobbiamo avere il coraggio di liberarci da questo guinzaglio Usa. E, lo dico fuori da ogni prudenza e senza mezzi termini, a mio giudizio ciò significa uscire dalla Nato”.

Ridando poi fiato alla favola per anime belle secondo cui “una seconda occasione persa furono i trattati di Minsk (Bielorussia). Se l’occidente li avesse rispettati, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia non sarebbe avvenuta”. Per delucidazioni nel merito, chiedere magari ai confratelli della zona, dalla Polonia ai paesi baltici, per non parlare ovviamente degli ucraini. Avrebbero molto da dire e insegnare all’eccellentissimo Moscone. Ucraini ai quali Leone XIV ha fin da subito dato la propria solidarietà, non solo a parole, ma con fatti concreti, come dimostra non solo l’udienza concessa a Castel Gandolfo a Volodymyr Zelensky, ma anche i ripetuti incontri con l’arcivescovo di Kyiv, il capo e padre della Chiesa greco-cattolica ucraina, Sviatoslav Shevchuk. “Io sono con il popolo ucraino. La Santa Sede continua e continuerà a sostenere ogni iniziativa e creare le condizioni necessarie per il dialogo e accompagnerà il popolo ucraino in questo terribile tempo della storia”, aveva detto all’arcivescovo il 15 maggio scorso. Vladimir Putin, capendo prima di tanti altri il cambiamento di toni e orientamento, prendeva la cornetta e componeva all’inizio di giugno il numero di telefono del Papa: “Diplomazia al telefono”, si disse con i consueti toni soft, ma il succo della conversazione era nella richiesta di Leone all’interlocutore russo di “fare un gesto che favorisca la pace”. Non lo richiese a Zelensky, ma a Putin. All’invasore.

Non che sia una novità: nei giorni successivi all’elezione veniva rimbalzato un video in cui l’allora cardinale Robert Prevost, all’indomani dell’invasione dell’Ucraina, mostrava di avere idee chiarissime: quella della Russia, diceva, “è un’autentica invasione imperialista”: “E’ già provato che si stanno commettendo crimini contro l’umanità”. Aggiungeva, poi, che bisogna “essere molto chiari, perché alcuni politici (peruviani, ndr), non vogliono riconoscere gli orrori di questa guerra e il male che la Russia sta commettendo in Ucraina”. Anche ai più solidi garanti della continuità tra pontificati non può che apparire evidente la distanza che c’è – sia essa condivisibile o meno – fra tali parole e quanto disse Francesco, ad esempio, sul “coraggio della bandiera bianca” da sventolare “quando vedi che sei sconfitto e che le cose non vanno”.

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